Introduzione alla lettura di Luigi Anepeta
Ernest Jones si può ritenere in assoluto l'allievo rimasto più fedele al pensiero di Freud: rappresentante, dunque, di quella Ortodossia che, incapace di cogliere i limiti del pensiero freudiano o temendo che ciò avrebbe inesorabilmente significato togliere valore alle straordinarie scoperte del Maestro, ha avviato la Psicoanalisi nella direzione di una normalizzazione (in senso kuhniano), che ne ha assicurato il successo e la diffusione universale, ma al prezzo di svuotarla progressivamente di contenuto.
L'esposizione sintetica che Jones fa della storia e della teoria psicoanalitica, nonchè delle sue diverse applicazioni nei vari campi del sapere,
è espressiva della sua fedeltà assoluta e, purtroppo, anche della sua banalità. Come accade nella monumentale biografia, Jones non rileva alcun aspetto nella teoria psicoanalitica bisognoso di una radicale revisione. Egli, in particolare, dà per scontato che l'esperienza umana si realizza totalmente sul piano della psicologia individuale ed è fortemente influenzata dall'interazione - reale e fantasmatica - del bambino con i genitori nei primi anni di vita.
Rilevante, da questo punto di vista, è l'atteggiamento critico che Jones assume nei confronti della corrente culturalista, che trova in Karen Horney e in E. Fromm, i suoi maggiori rappresentanti. Egli scrive:
"L'estremo di questa linea di pensiero si ha con il punto di vista marxista, per cui tutti gli sviluppi umani sono essenzialmente una superstruttura dipendente dall'unico importantissimo fattore della forma economica di produzione in una data comunità. È evidente che questi fattori sociologici influenzano enormemente le forme dell'attività umana e i molteplici modi in cui la natura umana si esprime nelle diverse circostanze. Rimane comunque da mostrare come sia possibile per questi fattori culturali influire sulle più profonde fantasie del fanciullo ossia raggiungere veramente l'inconscio."
E' inutile sottolineare la banalità di questa impostazione, che fa dell'inconscio una dimensione che, almeno per quanto riguarda le prime fasi evolutive, è del tutto isolata e immune dalle influenze storico-sociali. La Madre e il Padre, per non considerare la Famiglia e la sua organizzazione, non sono solo enti psicologici, ma anche agenti culturali immersi nel flusso della storia, il cui compito, al di là dell'assicurare al bambino un ambiente affettivo, è di "lavorare" sulla sua Natura per produrre un cittadino integrato in un determinato ambiente sociale.
Il modo di produzione antropologico proprio di una determinata società incide inesorabilmente, al di là degli agenti istituzionali che lo realizzano, sull'allevamento e sull'educazione del bambino. Ciò non ha nulla a che vedere con un orientamento radicalmente sociologista.
Se la Psicoanalisi ha un futuro, lo ha come disciplina capace di esplorare gli indefiniti tipi di interazione tra Natura umana e Cultura
che si realizzano nei diversi contesti storici dando luogo ad esperienze soggettive, intersoggettive e culturali.
INDICE
INTRODUZIONE
I. Che cosa è la Psicoanalisi?
II. La Storia della Psicoanalisi
CONTENUTO DELLA PSICOANALISI
I. L'Inconscio
II. Repressioni e Conflitti
III. La Sessualità
IV. I Sogni
V. Errori del Funzionamento Mentale
VI. Disordini del Funzionamento Mentale
APPLICAZIONI DELLA PSICOANALISI
I. La Medicina
II. L'Educazione
III. Antropologia
IV. Sociologia e Politica
V. Legge e Criminologia
VI. Arte e Letteratura
VII. Mitologia, Leggende, Folklore e Superstizione
VIII. Religione
CONCLUSIONE
APPENDICE
INTRODUZIONE
Capitolo I
CHE COSA È LA PSICOANALISI?
Le idee correnti intorno alla psicoanalisi oscillano fra due estremi. Secondo alcuni, la psicoanalisi non è che la traduzione in un linguaggio pomposo di luoghi comuni che riguardano la natura umana e che sono conosciuti perfettamente da ogni scrittore, ed anche da ogni uomo qualsiasi. Secondo altri, la psicoanalisi consiste in affermazioni che sarebbero repulsive al massimo grado se la loro fantastica improbabilità non impedisse di prenderle sul serio. La verità, come spesso accade, si trova tra i due estremi.
Noi faremo qui ogni sforzo per collegare le nuove scoperte della psicoanalisi ad altre conoscenze più familiari, ma non si può nascondere il fatto che esse presentano molti caratteri di novità. La psicoanalisi tenta di rispondere a problemi che precedentemente non erano stati nemmeno posti; problemi la cui esistenza viene spesso negata. Per lo più riguarda quasi esclusivamente un campo della conoscenza, l'inconscio, che è o sconosciuto o negato. Molto del materiale ricavato dai pazienti nevrotici interessa quella zona di semiresponsabilità a cui non è stato assegnato nessun posto nello schema della società. E peggio di tutto, le verità annunciate dalla psicoanalisi come importanti scoperte sono sgradevoli, urtanti o ripugnanti, così che non ci si può sorprendere che incontrino il ripudio generale. Nondimeno, come testimonia la pubblicazione di questo volume, c'è una richiesta impaziente per essere informati intorno a questo strano argomento ,un sospetto che veramente ci siano delle profondità inesplorate nella natura umana, un parziale riconoscimento di quegli echi e di quei riflessi suscitati dalle affermazione degli psicoanalisti. Ci può essere qualche cosa di vero e di utile che può essere illuminato da questa nuova scienza; può essere che col tempo impariamo a tollerare e perfino a profittare di ciò che ha da dirci?
In questo studio avremo a che fare con molti paradossi, e cominciamo pure col primo. La parola «psicoanalisi» è usata per intendere tre cose e la domanda che sorge spontanea è come questo possa avvenire se le tre cose sono così diverse nella loro essenza. «Psicoanalisi» significa uno speciale metodo di trattamento escogitato dal professor Freud di Vienna per la cura di una certa categoria di malattie nervose; questo significato ristretto fu il primo ad essere usato. Significa pure una speciale tecnica per l'investigazione dei più profondi livelli della mente. Infine si usa per descrivere il campo del sapere che si è acquistato con l'esercizio di questo metodo, e in questo senso è praticamente sinonimo di «scienza dell'inconscio». Questo terzo uso della parola è forse da ritenersi come un'evidente estensione del significato, ma, per capire come un metodo di investigazione possa essere allo stesso tempo un metodo di cura, occorre la conoscenza di alcuni problemi reconditi del funzionamento mentale. Si potrebbe pensare che tre significati siano sufficienti per un solo termine tecnico, ma il lettore deve essere avvertito che la parola è usata spesso illegittimamente in diversi altri sensi e che questa è la vera ragione della confusione e della difficoltà nell'apprendere ciò che la psicoanalisi è realmente.
I profani e perfino alcuni medici parlano di psicoanalisi quando si riferiscono a qualsiasi forma di psicoterapia (trattamento mentale di disordini nervosi) non curandosi se il metodo scoperto dal Freud vi è impiegato o meno. Questo accade ancora più frequentemente quando solo una parte del metodo e delle conclusioni di Freud, spesso comprese imperfettamente, sono adottate, mescolate col fermento di altre incompatibili. Allora di nuovo, come ognuno può vedere dagli avvisi pubblicitari o da altre fonti di informazioni, il termine è comunemente usato per designare dei metodi psicologici e delle conclusioni che possono considerarsi del tutto moderne, appartenenti, per esempio, al periodo della prima guerra mondiale. In questo modo il termine viene applicato ad argomenti che hanno una remota connessione o non ne hanno affatto con la psicoanalisi propriamente detta.
La domanda che serve da titolo al presente capitolo troverà risposta, sia pure schematicamente, nel corso dell'intero volume, particolarmente nella seconda sezione. Ma prima di scendere ai particolari, sarà bene chiarire uno fra i più caratteristici e peculiari caratteri dell'intero argomento. Che la mente contenesse elementi non accessibili alla coscienza è stato da tempo sospettato ed è stato asserito parzialmente prima di Freud; ma è stato Freud che per primo ha riconosciuto che questi elementi erano in uno stato di disarmonia col resto della mente. Nel corso delle sue investigazioni, per mezzo della sua tecnica che portò alla luce gli elementi più profondamente sepolti, egli trovò che la mente può, per molti rispetti, essere paragonata ad una serie di compartimenti stagni. La comunicazione fra i diversi compartimenti è attivamente ostacolata dal funzionamento di fattori perfettamente definiti, sulla natura dei quali egli ha pure investigato. I suoi sforzi per aprire le più profonde parti della mente erano ostacolati dal soggetto in un modo che gli diede l'impressione precisa di una forza contrastante; così che egli non esitò a descrivere lo stato di fatto in termini dinamici. Egli parlò di forze mentali che si opponevano al divenire consapevole di certe altre parti e le chiamò «resistenze». Allora egli fece la brillante supposizione, presto ampiamente confermata, che le forze trovate nel suo lavoro di esplorazione come resistenze ostacolanti fossero le stesse che avevano originalmente impedito alla persona la conoscenza di una parte della sua mente, nell'ultimo caso sono dette « repressioni».
Ora, noi tutti sappiamo che ci sono in noi idee, sentimenti, desideri, l'esistenza dei quali non riconosciamo volentieri, e, infatti, spesso riusciamo a negarli. Semplicemente noi preferiremmo di non conoscere niente riguardo a ciò e inventiamo ogni sorta di ragioni, alcune buone, alcune cattive, per spiegare che sarebbe meglio non saperne niente e più saggio «non pensarci più». Questo è un punto in cui le scoperte di Freud si agganciano alla comune osservazione, ma allo stesso tempo non si può asserire in senso assoluto che la parte della mente a cui egli si riferisce qui, ha soltanto una remota connessione coi processi mentali da noi coscientemente disprezzati in noi stessi. Sia le «resistenze» in questione, che la parte della mente a cui si oppongono, sono interamente sconosciute alla coscienza del soggetto, ed è per questo che Freud usa il termine di «inconscio» (Tedesco, das Unbewusste; letteralmente «l'incompreso»). Per quanto l'inconscio sia inconscio, pure, soltanto una diretta personale esperienza — e questo non è realmente possibile con le sole parole — può mettere in grado un individuo di sapere che non ha neppure un sospetto della reale esistenza di ciò che è chiamato il vero inconscio. Di più, la totalità della sua ignoranza è soltanto eguagliata dalla forza di resistenza che mantiene questa ignoranza. Questo, forse, può essere chiarito dal fatto che, perfino in circostanze favorevoli e con l'uso della tecnica più completa, occorrono anni di lavoro per fare conoscere ad una persona quali processi si stanno svolgendo nella profondità della sua mente. L'intensità dell'intima resistenza contro la piena conoscenza di noi stessi è una delle più importanti scoperte di Freud.
L'uomo, con tutta la sua ricerca di nuove scoperte, ha spesso resistito furiosamente alle idee nuove nè sembra che questa esperienza pure così comune, gli abbia giovato a qualcosa. Tentativi di comprendere questo atteggiamento sono appena andati oltre vaghe frasi come «innato conservatorismo». Questa osservazione generale non viene fatta soltanto perchè l'accoglimento della psicoanalisi offre un esempio di più di questa verità: c'è una connessione molto più interessante tra le due cose. È merito della psicoanalisi, stimolata senza dubbio dall'esperienza, di aver spiegato questo fatalistico conservatorismo del genere umano. La spiegazione è che la generale opposizione ad idee contrarie, incluse quelle concernenti il mondo esterno, consiste principalmente in una irradiazione della interna opposizione, o « resistenza» contro la conoscenza di sè stessi.
Se noi riflettiamo su esempi storici ben conosciuti di questo conservatorismo, come l'opposizione all'astronomia nel sedicesimo secolo, alla fisiologia nel 17°, alla chimica, nel 18° alla biologia del diciannovesimo, non possiamo non esser colpiti da certi caratteri stereotipi che questa opposizione presenta. La manifestazione più visibile di ciò è la collera e l'ostilità, che naturalmente, si esprimono in atti di persecuzione contro ciò che offende; la collera assume caratteristicamente la forma di una religiosa indignazione e le nuove idee sono spesso denunciate come perverse e immorali. Ma non è diffìcile scoprire sotto questo atteggiamento, come forse dietro tutte le attitudini di questo tipo nella vita individuale, una nota di allarme inconfondibile. Si sente che qualcosa di prezioso viene minacciato e le dimostrazioni ostili sono una semplice reazione di difesa contro quell'attacco immaginario.
Le lagnanze contro il nuovo sapere sono piuttosto monotone nella loro uniformità. Questo distruggerebbe o altererebbe un certo possesso prezioso; sarebbe degradante, materialistico, o perfino ateo. Abbasserebbe l'uomo facendolo scadere dal suo alto livello, intaccherebbe la buona opinione che egli ha di sè stesso, o gli porterebbe via qualcosa di molto caro. Questo qualcosa è quasi sempre un non so che di estetico, spirituale, etico e di natura religiosa, qualcosa che l'uomo tesoreggia come il suo bene più prezioso. Consideriamo un semplice esempio — la paura di Keat che la conoscenza scientifica dell'arcobaleno, mediante l'analisi dello spettro, dovesse diminuire o portar via il godimento estetico del fenomeno. Noi possiamo imparare da tale esempio che tali paure si dimostrano, col tempo, illusorie. Keat sentiva che il suo godimento dell'arcobaleno era intimamente dipendente dal senso del mistero e pensava che la luce della conoscenza lo avrebbe dissolto, togliendo la necessaria condizione di questo godimento. Ci sono due risposte a questo atteggiamento. In primo luogo, nessun uomo di scienza può pensare che ogni acquisto nel sapere diminuisca il suo senso di meraviglia dell'universo. Al contrario: il conoscere maggiormente può soltanto insegnare quanto piccolo è ciò che si conosce e quanto grande è, l'inconoscibile. L'umiltà di fronte a ciò che non si conosce aumenta al dissiparsi delle illusioni dell'ignoranza. In secondo luogo, la psicoanalisi può gettare luce sul pregiudizio assurdo che mistero e ignoranza siano necessari per poter conservare quello che viene chiamato il senso del valore spirituale.
C'è ragione di sperare che il timore per la scienza stia lentamente diminuendo. Sembrerebbe che ci fosse una capacità maggiore nel tollerare questa paura rispetto ai tempi passati. Certamente l'unico progresso notevole che l'uomo ha compiuto negli ultimi cinque o dieci mila anni è strettamente associato con l'aumento di questa sua tolleranza e con la fiducia da questa generata. Dopo tutto, l'esperienza produce i suoi effetti, presto o tardi, e un giorno l'uomo capirà che ha guadagnato invece che perduto cambiando l'arroganza e la paura con l'umiltà e la fiducia. La psicoanalisi pone la sua materia ad un esame severo. Ma in più, avanza la pretesa di rendere capace l'uomo di vincere quelle paure indefinite che fino ad ora lo avevano reso schiavo.
Possiamo soltanto indicare il modo di avvicinarsi a questo grave problema. Non è difficile vedere che è legato con il problema del libero arbitrio, perchè questo è strettamente associato col nostro senso dell'infinito e dell'assoluto. Nella nostra storia il concetto della causalità ha ancora una portata estremamente ristretta. I più importanti avvenimenti della vita sono creduti un'arbitraria intrusione volontaria in quell'ordine, qualunque esso sia, che sembra apparire nell'universo. Per lunghissimo tempo il potere volitivo è stato attribuito in vari gradi, agli esseri umani e soprannaturali, e, poiché questi ultimi potevano frequentemente essere indotti ad esercitare i loro poteri d'accordo con i desideri del primi, l'uomo poteva credere di esercitare, mediante il suo solo potere volitivo, una considerevole influenza sopra gli avvenimenti che da vicino concernevano il suo benessere generale. Lo svilupparsi della civiltà è commisurata con la graduale rinuncia dell'uomo a questo illusorio potere.
L'esperienza lentamente gli insegna che il riconoscere l'esistenza di leggi naturali gli offre realmente un potere in cambio di quello a cui rinuncia; ma ogni volta questo gli costa uno sforzo doloroso. L'inesorabile richiesta della scienza è che nessun avvenimento sia considerato isolatamente, ma come un anello di una catena inevitabile. Questo si adatta ai processi della mente umana come ad ogni altro processo, ed è la psicoanalisi che avrebbe applicato erroneamente allo studio della mente umana questo generale atteggiamento scientifico. Non è stato di aiuto l'indicare che il senso personale di libera volontà e di libera scelta è un fatto reale e che c'è un significato importante nella frase, apparentemente paradossale, che alcune persone sono mentalmente più libere di altre. La ferita rimane, e la gente rifiuta di credere che l'intero edificio della responsabilità personale, etica sociale, gusto e giudizio individuale non sia violentemente minacciato. Nondimeno, col tempo, si vedrà come questo tentativo di portare ordine nel caos apparente, di mostrare che i più audaci voli della fantasia e i più profondi slanci dell'anima fanno parte dell'armonia dell'universo, può avere lo stesso resultato di ulteriori avanzamenti nella scienza. Infatti può soltanto aumentare il reale potere dell'uomo e proprio nel campo dove egli ne ha più bisogno, vale a dire nel campo del potere sopra se stesso.
Capitolo II
LA STORIA DELLA PSICOANALISI
Il germe della psicoanalisi è da cercarsi in una strana osservazione fatta quasi 50 anni fa da un medico viennese, il dr. Breuer. Egli aveva notato che i vari sintomi isterici di cui soffriva una sua paziente sparivano quando riusciva a farle ricordare nello stato di veglia un fatto particolare che essa aveva ricordato durante l'ipnosi. Il ricordo in questione era effetto e causa del sintomo individuale. Era stata così dimostrata che l'esistenza del sintomo dipendeva da una amnesia (mancanza di memoria), da qualche cosa che era stato dimenticato, e che il sintomo poteva essere rimosso distruggendo questa condizione essenziale.
Questa osservazione di limitato interesse medico, può sembrare insignificante, ma fu tale da illuminare la mente di un genio e produrre una vita di opera rivoluzionaria nel campo della psicologia, il cui significato cominciamo a comprendere interamente soltanto adesso. Freud, un collega più giovane del Breuer, fece uso dell'osservazione quando le esigenze della vita lo spinsero a lasciare la ricerca anatomica per la pratica neurologica. Egli si trovò faccia a faccia con le masse confuse dei sintomi isterici che ci sono oggi e mancano domani e che cambiano nel mondo più strano da una parte all'altra del corpo, e si propose il compito di capirli. A quel tempo il problema in se stesso non esisteva perchè a nessuno era venuto in mente che quei fenomeni potessero avere un significato psicologico: si supponeva che dipendessero da un male nascosto del cervello o che fossero creati nel modo più arbitrario dalla immaginazione turbata del paziente, ossia, per dare un buon esempio, dall'esercizio della libera volontà. Il campo perciò era vergine e si annunziava abbastanza difficile.
Si sente spesso affermare che Freud cominciò il suo lavoro su una teoria preconcetta che egli aveva derivato da osservazioni raccolte. Niente può essere più lontano dalla verità. Nessuna dottrina può essere meno simile a una teoria filosofica dello sviluppo della teoria della psicoanalisi sempre consistita in una diretta deduzione ricavata da osservazioni verificabili. È cresciuta a poco a poco, errori e imperfette conclusioni sono state ritratte; le prime idee incerte sono state sostituite da visioni più comprensive, via via che l'esperienza si approfondiva e il campo di osservazione si allargava. Poca gente può essere rimasta più stupita di Freud stesso di fronte a molte delle sue scoperte del tutto insospettate. Tutto quello di cui Freud disponeva al principio della sua carriera scientifica, oltre le doti naturali e la curiosità senza limiti, erano le osservazioni del Breuer accennate sopra e un'incrollabile convinzione che i fenomeni mentali, anche i più insignificanti e labili, devono avere precisi antecedenti, come i fenomeni fisici. Lo spiegarli con parole come «caso», coincidenza», «abitudine», «pigrizia» e simili era del tutto insoddisfacente per lui, perchè la sua fede nel determinismo era radicale. Egli era nato per la ricerca, e sia la sua sorte che la sua inclinazione lo portavano al campo della psicologia.
Freud presto confermò l'osservazione del Breuer che sia il manifestarsi dei sintomi isterici, sia la forma che essi assumevano, dipendevano dai casi della vita del paziente. La memoria di questi eventi, spesso ricuperata durante l'ipnosi, era comunemente dimenticata ma non era morta, anzi, al contrario, era responsabile degli avvenimenti e delle sofferenze in corso. Le memorie inaccessibili quindi non erano sempre latenti, come nomi dimenticati che possono essere risuscitati solo attraverso l'occasione delle associazioni, ma potevano anche essere attive. Freud perciò sviluppò il concetto di un inconscio dinamico, precedentemente immaginato dai filosofi con Schopenhauer e von Hartmann, ma mai esplorato a fondo. Ki- guardo a questa concezione, fondamentale nella psicologia, diremo di più nel prossimo capitolo.
Entro pochi anni dal principio di questo lavoro, Freud si trovò di fronte ad una difficoltà che finì per sfociare in quello che forse fu il più grande atto della sua inventività creatrice. La difficoltà consisteva nel suo imbattersi in pazienti che nè lui nè i più esperti riuscivano ad ipnotizzare; egli perciò doveva abbandonare l'idea di portare a termine la sua investigazione terapeutica con tali pazienti o altrimenti alterare i suoi metodi. Freud cominciò ad invitare il paziente a concentrarsi, e a ricordare in uno stato di veglia, e trovò che la genesi del sintomo particolare poteva essere rintracciata in questo modo, tanto da abbandonare ogni uso ulteriore dell'ipnotismo. L'esperienza gli dimostrò in seguito che le memorie dimenticate, connesse con la genesi dei vari sintomi, in un dato caso, erano intimamente collegate. Era questione quindi di scoprire l'intero reticolato, piuttosto che tentare vanamente di isolare e sbrogliare un sintomo individuale alla volta. Fu a questo punto che egli audacemente provò la sua fede nel determinismo e nella verità delle precedenti conclusioni riguardo l'inconscio. Agendo sull'assunto che qualcosa deve dirigere la serie delle immagini, anche quando queste sembrano vagare liberamente, e che questo qualcosa può essere l'influenza dei pensieri inconsci, egli domandò ai suoi pazienti di cercare di non concentrarsi su nessuna idea particolare e non guidare coscientemente i loro pensieri; essi avevano soltanto da riferirgli la direzione verso cui i loro pensieri si dirigevano «spontaneamente». Era il metodo delle «libere associazioni», la base essenziale di ogni tecnica analitica. Questo metodo offre il materiale per ogni psicoanalisi, per quanto non si dovrebbe confondere naturalmente con ciò la psicoanalisi stessa, come sembra che facciano alcuni medici.
Già al tempo dell'ipnotismo, Freud aveva osservato che era necessario esercitare una certa pressione sui pazienti, nella forma di un costante incitamento, prima che essi potessero riprodurre i ricordi opportuni, e questo fat to si rese ancora più evidente quando egli sostituì al precedente metodo (chiamato il metodo catartico del Breuer) il metodo delle libere associazioni. Egli si accorgeva che lo sforzo del paziente per « metter fuori» doveva agire contro certe forze contrarie nella mente del paziente. Egli designò questa opposizione come la resistenza. Come abbiamo detto sopra, il passo successivo nella sua teoria, fu di dedurre che questa resistenza era proprio la forza che in origine aveva trattenuto la memoria riguardante la coscienza del paziente, che aveva, secondo la sua definizione, «represso» la memoria. Questa concezione dinamica dell'inconscio venne così allargandosi. I processi mentali repressi non soltanto erano capaci di produrre effetti attivi, malgrado la loro natura inconscia — ossia malgrado che il paziente non ne fosse a conoscenza — ma un'altra parte della mente era in conflitto attivo con quelli, sempre senza che il paziente conoscesse nulla dello stato delle cose. Questa conclusione s'incontrò molto bene con un'altra scoperta che lo mise in grado di dire qualcosa riguardo alla natura del conflitto. Poiché Freud trovò che i ricordi repressi che cagionavano questi effetti morbosi erano sempre di un genere speciale: erano incompatibili col tenore di vita, morale, sociale ed estetico della persona ed erano perciò importune scoperte del paziente. Questa gli sembrò la ragione della repressione.
Ben presto fu chiaro a Freud che i conflitti inconsci con i quali egli aveva a che fare mediante i trattamenti dei pazienti nevrotici, erano di un genere tale da non poter essere loro particolari. Tutto ciò che vi era di speciale per loro era il modo particolare con cui avevano tentato di tener testa a tali conflitti, un modo che aveva prodotto sintomi nevrotici. I conflitti in se stessi erano comuni a tutta l'umanità, e così Freud fu a poco a poco condotto a considerarli materia di interesse psicologico generale. La conoscenza che Freud aveva acquistato riguardo al modo di lavorare dell'inconscio si era rivelata una chiave per la conoscenza di molti altri problemi, oltre a quelli originarii che si era proposto di risolvere in connessione con la nevrosi. Incidentalmente, aveva anche mostrato che i nevrotici non sono una classe distinta, incompatibile con il resto dell'umanità, come si era supposto precedentemente, e che le nevrosi non erano «mali» nel senso comune della parola. Le nevrosi furono considerate uno dei diversi modi con i quali la gente reagisce a difficoltà psicologiche e sociali che incontra. Il dire che è illegittimo trasportare al campo dei normali conclusioni ottenute nello studio di anormali, dimostra ignorare ciò che la nevrosi significa realmente.
Alcuni dei campi della psicologia normale ai quali Freud estese le sue investigazioni possono essere menzionati a questo punto, per quanto essi saranno analizzati a fondo in seguito. Fra il materiale delle libere associazioni offerte dal paziente, i sogni giuocavano una tale parte che Freud fu condotto a far ricerche su di un argomento che fino a quel tempo era stato trascurato grandemente dagli psicologi e dai medici. A questo proposito, egli usò principalmente, almeno nei suoi scritti, i propri sogni, così da evitare la critica che abbiamo riferito riguardo al «materiale anormale». Egli fu capace di risolvere un gran numero di vecchi problemi, non soltanto per mezzo del valore pratico che l'analisi dei sogni ha per l'esplorazione dei più profondi livelli della mente (Freud stesso li chiamò « la strada principale» che porta all'inconscio), ma specialmente perchè fu uno dei più vasti e completi dei suoi lavori. La somiglianza fra il meccanismo di molti sogni e il giuoco umoristico suscitò in lui l'interesse per l'umorismo e lo indusse a dedicare un penetrante studio intorno all'elucidazione dei processi inconsci che nascondono l'umorismo e i relativi problemi di estetica (l'umorismo, il comico, l'irreale e così via).
Nelle ricerche riguardo alla nevrosi Freud, trovò che i fattori sessuali giuocavano sempre una parte essenziale nel conflitto patogeno e la risolutezza con cui persistette nel rintracciare l'intera catena degli eventi più lontani (fino dall'inizio, se possibile), ebbe il resultato di far apprendere molte cose nuove riguardo alle prime età dello sviluppo di questo istinto. Il libro seguente a quello dei sogni e dell'umorismo trattava questo argomento. Tra gli impulsi repressi che costituiscono una metà dell'inconscio, i conflitti sessuali sono i predominanti, — non è cosa che può sorprendere — e questa forma tipica di conflitto fu presto percepita come la più comune e la più importante. Una porzione dell'istinto sessuale più grande di quello che s'immagini guida una vita sotterranea e l'energia derivata da ciò ha la capacità di essere trasportata su altri interessi, col risultato che un'inaspettata quantità delle nostre attività coscienti dipendono in parte da impulsi sessuali repressi. È proprio riguardo queste conclusioni — come bene ci si può immaginare — che si accentra la maggior parte delle opposizioni alla psicoanalisi.
Essendo il metodo di Freud essenzialmente genetico, non c'è da stupirsi che la parte più importante riguardi i problemi dello sviluppo del fanciullo, e qui pure Freud ha aggiunto una serie di nuove conclusioni specialmente intorno alla vita sessuale del fanciullo. Somiglianze fra i processi mentali dei fanciulli e dei nevrotici da una parte e degli adulti civilizzati dall'altra, hanno permesso a Freud di raggiungere una serie di conclusioni nella natura del mito e della superstizione delle istituzioni religiose e sociali dei selvaggi, che hanno gettato un fascio di luce sugli oscuri problemi concernenti il passato storico della razza.
Lo schema generale di alcuni campi nei quali Freud ha lavorato non da affatto l'idea dell'enorme massa dei suoi contributi particolari su problemi specifici. Il solo scopo di questo mio abbozzo è di dare qualche informazione del modo in cui la psicoanalisi ebbe inizio, e le ragioni storiche del suo sviluppo, specialmente riguardo alla parte centrale dello studio dei pazienti nevrotici. È questo studio che forma la base della psicoanalisi poiché l'esperienza del così detto «normale» ha mostrato che è straordinariamente difficile procedere nell'esplorazione dell'incoscio se non si è aiutati da quei fenomeni che, quando sono esagerati, sono detti nevrotici.
Non è necessario parlare a lungo dello sviluppo della scienza della psicoanalisi. Per più di dieci anni, Freud lavorò solo e i suoi studi non ricevettero nè simpatia nè accoglienza. Altri medici poi adottarono i suoi sistemi e confermarono ed estesero i suoi ritrovati. L'autore di questo libro per esempio, ha lavorato sullo stesso piani per oltre quaranta anni. Nel 1910 una Associazione Internazionale di Psicoanalisi fu fondata con diversi rami costituiti nelle varie nazioni. Un grande numero di periodici si dedica a questo soggetto e la letteratura al riguardo è immensa, per quanto di valore molto ineguale. Ci sono numerosi istituti di psicoanalisi con cliniche annesse, dove corsi sistematici di istruzione vengono svolti con la pratica e la tecnica del metodo e della teoria generale dei ritrovati. Due fra i primi allievi di Freud, Adler e Jung, dopo un breve periodo di cooperazione, abiurarono il suo metodo e le sue conclusioni e fondarono sistemi indipendenti di psicologia, che rifiutano in gran parte il sistema di Freud.
CONTENUTO DELLA PSICOANALISI
Capitolo I
L'INCONSCIO
L'ammettere l'esistenza di processi mentali di cui siamo inconsapevoli, ossia, l'ammettere una mente inconscia, equivale a fare un serio passo in un pensiero che ha lontane conseguenze e c'è poco da meravigliarsi se coloro che rifiutano questa idea cerchino aiuto in una grande varietà di ragionamenti razionali e filosofici. Il più noto di questi consiste nell'affermare che poiché la parola «mentale» significa per definizione «cosciente», non ci può essere niente di mentale che non sia cosciente. Se i processi «non consci» sono stati scoperti dalla psicoanalisi, essi devono essere di natura fisica. Questo punto di vista è naturalmente precedente il tempo in cui il problema fu posto e infatti è poco più di una asserzione che è stata sempre accettata senza discutere. Se si afferma sul serio che i processi inconsci sono in realtà fisici e non mentali si potrebbero al riguardo domandare prove che non sono mai state date. Nessun studio fisiologico ci da la più piccola informazione intorno a questi particolari processi inconsci, mentre, d'altra parte, essi possono facilmente essere descritti nei soliti termini mentali, come idee, desideri etc. Incidentalmente possiamo notare che investigazioni per mezzo dell'ipnotismo hanno mostrato indipendentemente dalla psicologia, chiare indicazioni della loro natura mentale. Dopo tutto, il descrivere l'inconscio come mentale è soltanto una speciale applicazione della procedura che noi usiamo ogni giorno nei nostri rapporti con gli altri esseri umani.
Noi non abbiamo nessun altra conoscenza immediata di «mentalità» all'infuori della nostra, ma senza esitare ne deduciamo l'esistenza attraverso l'identificazione di noi stessi con l'altra gente. Se perciò noi abbiamo delle buone ragioni per affermare la presenza di una attività mentale in noi stessi senza esserne direttamente coscienti e se specialmente, come spesso accade, l'attività in questione assomiglia allo stato cosciente in tutti i rispetti tranne che nell'unico di non essere cosciente, è sicuramente cosa più semplice chiamarla anch'essa mentale. Noi certamente non avremmo esitato a far ciò, se non ci fossero le resistenze interne, connesse col contenuto dell'inconscio, che lottano contro il riconoscimento di questa parte della mente. Sia come sia, comunque, la psicoanalisi troverebbe del tutto impossibile esporre i suoi ritrovati e le sue conclusioni se non nei termini del lavoro di una mente inconscia, poiché il suo compito principale consiste nel dipanare i processi inconsci che possono essere descritti solo in un linguaggio mentale e nel convertirli in processi coscienti.
Via via che la penetrazione e la conoscenza di questi livelli più profondi della mente divenne più estesa Freud gradatamente formulo una teoria della struttura della mente come insieme. Non possiamo qui tracciare i passi dettagliati nello sviluppo della teoria e ci contenteremo di descrivere i tre aspetti più importanti di essa come si presentano oggi. In primo luogo, Freud considera la mente un po' come un apparato che può essere messo in moto in due diversi modi, dal di dentro e dal di fuori. Gli stimoli che si scontrano con la mente dal di fuori, attraverso l'eccitazione degli organi dei sensi, iniziano un'attività da una direzione, mentre gli stimoli dal di dentro, come la fame ed altri agenti istintivi, l'iniziano da un'altra; in molti casi, come nel caso di un uomo affamato che vede un boccone tentatore, ambedue le specie degli stimoli si presentano contemporaneamente. Freud pensa che tutti questi atti mentali devono cominciare nell'inconscio, tuttavia alcuni passano istanta- heamente nella coscienza, mentre altri sono impediti di farlo. Gli stimoli istintivi, scaturenti dall'interno dell'organismo, procedono da o attraverso la regione inconscia come è facile comprendere, ma molti esempi della vita quotidiana possono mostrarci come la stessa cosa possa essere vera anche per gli altri stimoli: così accade sovente di aver la sensazione che «qualche cosa» in noi ha udito un dato suono (come il battito di un orologio) quando invece non abbiamo un ricordo cosciente di averlo udito a suo tempo.
Giudicando i processi mentali nella loro relazione con la coscienza, Freud trova necessario postulare tre gruppi mentali che, se si volessero simboleggiare concretamente, potrebbero rappresentare come una pittura nello spazio corrispondente alle tre zone mentali. Dapprima c'è la comune coscienza che comprende tutti i pensieri di cui siamo consapevoli ad un dato momento. Poi c'è ciò che è chiamato preconscio, una sorta di anticamera della coscienza. Tutti i pensieri preconsci possono diventare consci in circostanze appropriate sia attraverso uno sforzo nel voler ricordare, sia attraverso uno stimolo proveniente da un'idea associata. Per quanto sia così, non di meno si possono distinguere due sottogruppi di pensieri preconsci, quelli di cui uno può divenire consapevole senza grande difficoltà (memorie facilmente accessibili e simili), e quelli per cui il divenire coscienti richiede una apprezzabile e perfino considerevole difficoltà. L'esperienza mostra che il secondo gruppo ha speciali connessioni associative col materiale inconscio e questo, senza dubbio, rende ragione delle difficoltà in questione. Finalmente, vi è il vero e proprio inconscio che consiste in pensieri del tutto incapaci di divenire coscienti a meno di una speciale attività manipolativa messa in atto da una procedura analitica.
Sembrerebbe che ci fosse un «agente selettore» al lavoro, da cui dipende l'ammissione di un dato pensiero da uno dei compartimenti mentali ad un altro, e Freud, usando una analogia con una istituzione politica familiare a noi tutti durante la guerra, chiama questo organo agente «la censura». La censura maggiore è posta certamente fra l'inconscio e il preconscio, ma ce n'è anche una, più debole, tra il preconscio e la coscienza stessa. L'agente che effettua la censura è identico alla «repressione» menzionata sopra. Esso trattiene certi pensieri fuori della coscienza e agisce contro lo sforzo di rendere coscienti tali pensieri.
Lasciando ora da parte il conscio e l'inconscio, consideriamo la mente da un altro punto di vista, che possiamo chiamare punto di vista dinamico (invece che topografico). Non sarà facile far combaciare i due quadri così ottenuti, perchè la classificazione è contraddittoria in alcuni aspetti. Le profondità della mente, corrispondenti all'ingrosso all'idea comune dell'inconscio e che certamente non possiedono nè gli attributi della coscienza nè il senso della personalità, comprendono un numero di impulsi primordiali e di necessità istintive che sono costantemente agitati allo scopo di trovare un sollievo o una soddisfazione. A causa della loro natura impersonale (indicata da espressioni come «mi sembra», «mi sento di», ecc., che sono più comuni nelle altre lingue che in inglese), Freud, per indicare questa regione della mente, usa il neutro «es» al posto del quale noi generalmente usiamo la parola latina id. L'Es è la fonte dell'energia mentale derivata dagli istinti. È la base, completamente indifferenziata, di tutta la mente.
Nei primi giorni dello sviluppo, una parte di questo «Es» viene staccato dal resto attraverso il contatto con il mondo esterno. Questa porzione, la cui principale funzione è di stabilire relazioni tra l'organismo individuale e il mondo esterno (incluso l'ambiente umano), Freud la chiamò «Ego». Questo «Io» naturalmente, significa nel linguaggio ordinario quel «se stesso» che ci dà il senso della personalità. Contrariamente all'aspettativa, non tutto l'«Io » appartiene alla coscienza; grandi parti di esso sono inconscie nel pieno senso della parola, come abbiamo chiarito sopra, vale a dire del tutto inaccessibili alla coscienza. C'è una certa attitudine critica presto stabilita da parte dell'Io verso il resto dell'Es (che noi possiamo chiamare adesso, l'Es puro e semplice) che accetta una parte delle domande, richiedenti soddisfazione, proposte dagli impulsi dell'Es, ma che condanna e rigetta le altre. Questo ultimo processo è lo stesso che noi abbiamo imparato a chiamare repressione, poiché questa parola si riferisce non soltanto al «tenere lontano» dalla coscienza ma anche al «tenere lontano» dall'Io. Gli impulsi repressi formano così un'altra speciale sezione dell'Es primitivo; essi sono, naturalmente, impersonali. La situazione perciò può essere resa da alcune frasi come questa : «Io (me stesso, l'ego) desidero di fare questo, ma qualcos'altro dentro di me — non me stesso — desidera di fare un'altra cosa». Si ricordi che il conscio stesso non è consapevole del suo secondo desiderio.
Resta da esaminare un ultimo problema di questa connessione. Proprio come una parte dell'Es è stata staccata come un Es represso, così una parte dell'/o diviene, nel corso del suo sviluppo, differenziata dal resto; questo è chiamato il Super-Io. La funzione del Super-Io che è in più stretto contatto con l'Es che non con l'Io, è di vigilare le relazioni tra i due, di agire, cioè, come un guardiano che tutela l'lo dal pericolo di accettare ogni impulso represso emanante dall'Es. Questa funzione ci è familiare sotto il nome di censura, ma parlando in termini esatti bisognerebbe precisare che è l'Io stesso che compie l'atto di repressione, non il Super-Io, perciò l'Io agisce, comunemente, alle dipendenze di quest'ultimo. È interessante notare che il Super-Io si manifesta nell'uomo nel primo anno di vita a causa dell'influenza dei genitori: non è certo una copia fedele del loro insegnamento ma tuttavia deve la maggior parte della sua forza al legame emotivo che esiste fra bambino e genitore.
Per riassumere, noi vediamo che ci sono quattro istanze della mente: il primitivo Es; una parte di questo che si è differenziata come Io; la porzione dell'Es che è incompatibile con le regole dell'/o costituisce a sua volta una parte repressa; infine, una parte dell'/o viene distinta in un Super-Io separato. Tutto questo può ricordare l'antica mitologia dove le varie divinità erano dotate di particolari funzioni, tuttavia l'effetto della personificazione è dovuto soltanto alla necessità di una descrizione condensata. In pratica Freud considera che le varie attitudini e funzioni menzionate sono tenute insieme automaticamente (come automaticamente avvengono quelle del corpo), e sostiene che l'idea della personalità è confinata al solo Io. Questa, fra parentesi, è una delle tante ragioni per cui una persona a cui viene dimostrata la presenza di questi processi inconsci prova in un primo tempo difficoltà a riconoscere che essi sono realmente una parte di se stessa.
Si capirà presto che gli impulsi repressi sono quelli che ordinariamente sono detti immorali. A stretto rigore, dovrebbero essere chiamati immorali soltanto se fossero sottoposti a un giudizio morale; in realtà essi sono a-morali poiché nessun sentimento di bene e di male è legato ad essi. Per loro natura, essi sono o sessuali o di ostilità (crudeltà, aggressività), ma la maggior parte dell'ostilità è causata da impulsi sessuali frustrati, tanto che si può affermare che gli impulsi repressi sono prevalentemente sessuali. D'altro lato, il super-Io è la parte più morale di tutto l'intero organismo, molto più della stessa coscienza morale di cui discorriamo così frequentemente. In un certo senso, si potrebbe concludere che, secondo la psicoanalisi, l'uomo dimostra di essere più immorale e più morale di quello che egli stesso crede.
Se il Super-Io, costituitosi nella prima fanciullezza non riesce a svilupparsi liberamente, si possono produrre conseguenze fatali. È noto che i fanciulli di una certa età sono propensi a esagerare in scrupolosità, tanto da considerare come peccati orrendi leggere manchevolezze; gran parte della infelicità della fanciullezza deriva da queste sensazioni. Se queste ossessioni infantili permangono o si consolidano come residui di remoti impulsi proibiti, atti del tutto innocenti come camminare, mangiare e così via, possono essere impossibili negli anni della maturità. Alla coscienza un impedimento di questo genere appare semplicemente come una incapacità, che produce una forma particolare di disordine mentale. La spiegazione di questo insieme di colpe irrazionali è spesso un importante passo nel trattamento dei disordini nervosi.
I processi preconsci di solito differiscono da quelli consci soltanto perchè viene perduto in essi l'attributo della coscienza. D'altra parte, gli atti inconsci, possiedono alcune caratteristiche che li differenziano del tutto dai coscienti, e che sono in sorprendente contraddizione con quelle dei processi coscienti. Ne abbiamo già accennato alcune, quali la loro intima relazione con gli istinti e la vita infantile, la loro natura di desiderio, la parte preminente spiegata in essi dalla sessualità. Ce ne sono molte altre che non possiamo descrivere qui. Come esempio citiamo la totale assenza nell'inconscio dell'idea del tempo e della negazione; l'inconscio è completamente «senza tempo» e la parola «no» non ha significato per lui. Le idee presenti non sono rappresentazioni verbali di oggetti o di atti, essendo le parole pertinenti ai processi consci o preconsci. La forza di queste idee o piuttosto degli impulsi che rappresentano, è molto incostante e può oscillare in modo del tutto estraneo alla vita mentale cosciente. L'inconscio è interamente regolato secondo il principio del piacere e del dolore che sono i soli criteri del suo funzionamento. Nel corso del suo sviluppo l'inconscio si evolve nel principio della realtà nel quale importano altre considerazioni oltre al semplice principio piacere-dolore, ma ciò avviene soltanto nei più alti stadii della mente. Deve rimaner chiaro quindi, il fatto che i processi inconsci hanno molte particolarità loro proprie che li rendono assai diversi dai coscienti.
Capitolo II
REPRESSIONI E CONFLITTI
Il significato generale della repressione e del conflitto nell'interno della mente è già stato indicato e noi abbiamo ora da considerarne alcuni effetti. La meta della repressione, — se possiamo usare questa espressione teleologica, inevitabile, per brevità, — non è altro che la diminuzione dell' impulso represso contro cui è diretta. Talvolta riesce ad inibire quasi interamente l'impulso ma questo accade di rado, e probabilmente, sempre in modo temporaneo. Nella grande maggioranza dei casi vi riesce solo in parte e l'impulso represso raggiunge una sua forma di espressione. Gran parte della psicoanalisi è impegnata a scoprire la sorte di questi impulsi sepolti e le tortuose manifestazioni che essi producono durante il corso del loro soddisfacimento.
Una caratteristica importante dell'inconscio è l'estensione con cui la forza degli impulsi dai quali è composto può essere dislocata lungo i varii sentieri dell'associazione. Il resultato è che una idea può contenere il significato di un'altra idea « associata». La funzione della prima o piuttosto l'impulso che rappresenta, può così essere scaricato attraverso la seconda. Quando c'è una catena complicata di associazioni, funzionante in questo modo attraverso il dislocamento ed altri meccanismi, la chiarificazione di questo processo produce nella mente cosciente una vivace impressione di un qualche cosa di estraneo e di ricercato. Questa impressione spesso imputata alla procedura psicoanalitica, è piutosto esagerata ed è da ascrivere al funzionamento dell'inconscio che, come è già stato notato, differisce in questo e, in molti altri casi, dal funzionamento della coscienza. A questo proposito possiamo ricordare anche un altro meccanismo collegato al primo, cioè quello della condensazione. Con questo si intende la tendenza dei processi inconsci a fondersi insieme secondo pretesti insignificanti e in questo modo a rinforzarsi l'uno con l'altro. L'inconscio si interessa solo delle rassomiglianze; ignora le distinzioni in un modo sorprendente e non riesce a discriminare, come fa la mente cosciente. La conseguenza è che ogni manifestazione dell' inconscio è quasi sempre ciò che viene detto «ultra-determinato», ossia è il risultato di molti fattori determinati.
Nel conflitto tra l'Io e ciò che è represso i risultati più comuni sono quattro, e noi adesso procederemo a descriverli. In uno di essi, il secondo, la manifestazione che ne risulta è composta dal materiale derivato dagli impulsi dell'Io; negli altri tre è composta dal materiale derivato dagli impulsi dall'Io e dagli impulsi repressi in modo che ne risulta un compromesso. Nel primo c'è poi un cambiamento qualitativo della natura dell'energia dell'impulso; negli altri due successivi questo non avviene; mentre il quarto si trova fra gli altri due gruppi, per questo riguardo.
1°. Sublimazione. — Con questo termine si intende un cambiamento dell'impulso sessuale che diviene «de- sessualizzato», ossia perde quella peculiare qualità eccitante caratteristica della sessualità e viene indirizzato verso una meta non sessuale. Questo non accade di solito con l'impulso sessuale pienamente sviluppato, di cui parleremo nel prossimo capitolo. Il processo è, naturalmente, come tutti quelli qui descritti, del tutto inconscio. È importante notare che il risultato cosciente del processo non è la sostituzione di qualche cosa di diverso dall'interesse sessuale, come generalmente si pensa, ma la stessa cosa in un'altra forma. Così quando si dice che lo sport o il ballo è salutare e sano per i giovani, intendendo che realmente distrae l'attenzione dei giovani dai pensieri sessuali, ciò è dovuto al fatto che si tratta in gran parte di una trasformazione dei vari impulsi sessuali, l'energia dei quali defluisce in altre attività. Numerosi impulsi materni sono, forse, i più comuni esempi di sublimazione.
Le sublimazioni sono di vari gradi nella loro durata. In certe circostanze tendono a « regredire» verso il loro significato originale, specie quando la persona perde interesse alla sua attività precedente, ed è sul punto di cader vittima di una nevrosi. Questa è la spiegazione giusta della maggior parte dei casi di «collasso nervoso» determinato da «troppo lavoro».
2°. Forma di reazione. — In opposizione alla sublimazione dove l'energia non è solo derivata dall'impulso represso ma addirittura si incanala nella stessa direzione di quest'ultima, le forme di reazione sono derivate dalle forze che si oppongono all'Io e tendono esattamente verso la direzione contraria. Esse possono essere descritte mediante una metafora di carattere statico cioè come dighe erette contro gli impulsi repressi. La differenza fra le forme di reazione e le sublimazioni può essere chiarita con un paio di esempi. La tendenza primordiale a far mostra di se (ad offrire la propria persona) può essere sublimata nel piacere di emergere, sia fisicamente, come in una declamazione oratoria, o ancora più indirettamente in molte altre varietà di ricerca di gloria); ovvero, d'altra parte, può condurre a una reazione di modestia, vergogna, e simili. Il piacere primordiale che tutti i bambini hanno per il sudicio, può «sublimarsi» in seguito, attraverso il dipingere, lo scolpire e il cucinare, come può produrre una reazione di pulizia e di ordine (il sudiciume è una cosa giusta nel posto sbagliato!). In certi sistemi polizieschi è molto frequente che, per una forma di reazione, si vada oltre il segno e si diventi eccessivi. Noi tutti abbiamo conosciuto, per esempio, qualche donna di casa il cui disgusto per la polvere rende la vita impossibile a tutti coloro che le stanno intorno. Spesso si trovano insieme eccessi opposti; talvolta una forma di reazione fortissima mette in evidenza la presenza di un impulso altrettanto forte che vi è nascosto dietro. Accade infatti che, in certe occasioni, il positivo e il negativo si mostrino nella stessa persona come, ad esempio, quando uno è gretto fino all'assurdo in certe cose, eccessivamente prodigo in altre.
3°. Nevrosi. — Questo risultato del conflitto inconscio formerà l'argomento del capitolo VI della presente sezione, così che una parola o due saranno per ora sufficienti. Ogni disordine nevrotico è un compromesso tra le forze reprimenti e gli impulsi repressi, le quali giungono entrambe ad esprimersi nella manifestazione nevrotica. In questo caso i principali impulsi repressi sono invariabilmente sessuali e la sessualità non viene alterata come nella sublimazione. Ambedue le forze costituenti il conflitto passano per una distorsione estensiva prima che vengano manifestate nella forma di una sofferenza nevrotica; i sintomi, perciò devono essere analizzati prima che il loro significato possa essere chiarito.
4° Formazione del carattere. — Le caratteristiche più importanti del carattere dipendono dal modo in cui i vari conflitti inconsci vengono affrontati nei primi anni di vita. Un gran numero di tratti del carattere come la decisione, l'ambizione, la timidezza, la tenacia e così via, sono stati riconosciuti come particolari reazioni nei confronti di questi conflitti. Accade talvolta che la trasformazione di alcuni tratti del carattere sia stata imperfetta, ossia le particolari caratteristiche individuali mostrano ancora i caratteri dell'inconscio (in aggiunta a quel tanto di origine inconscia che, naturalmente, è sempre presente). Il termine « carattere nevrotico» è applicato a quei casi in cui coesistono manifestazioni normali del carattere e sintomi nevrotici. Quando una nevrosi è inserita nel carattere in questo modo, è molto più diffìcile sradicarla che non nei casi più usuali nei quali è estranea alla personalità fondamentale ed è avvertita come una afflizione imposta.
Simbolismo. — Bisogna adesso esaminare in breve questo interessante argomento per quanto le sue precise relazioni sui temi della repressione e del conflitto siano ancora oscure. Questo particolare soggetto è molto importante nel lavoro psicoanalitico e ha dato occasione a molti commenti critici. Alcuni nascono da una pura e semplice confusione riguardo alla parola «simbolismo», che è comunemente usata in molti sensi diversi. Le varie affermazioni fatte dagli psicoanalisti intorno al simbolismo riguardano esclusivamente uno speciale senso ristretto della parola «simbolo» che significa una idea presente nella coscienza, che rappresenta e porta il significato di un'altra idea inconscia. Un simbolo nel senso psicoanalitico è la pura sostituzione di una idea incoscia e perciò differisce da processi come la similitudine e la metafora con i quali abbiamo dimestichezza. Un grandissimo numero di idee, per lo più oggetti o processi concreti, può servire ad una funzione simbolica ma l'opinione comunemente attribuita agli analisti che tali idee, dovunque si presentino, siano da considerarsi come simboli, è certamente assurdo. Spesso è tecnicamente difficile decidere se una idea possiede un significato letterale intrinseco o se è usata come simbolo. È stato calcolato che il numero delle idee dell'inconscio che possono venire simboleggiate è quasi un centinaio e che tutte quante si riferiscono o a se stessi, o ai propri parenti stretti, o a fenomeni di nascita, amore e morte. La pretesa monotonia delle interpretazioni psicoanalitiche dei simboli è pertanto dovuta all'estrema concentrazione con la quale gli interessi primordiali dell'uomo sono rappresentati negli strati più profondi della mente umana. Come esempio, possiamo ricordare un paio di simboli tipici. Le idee di re e di regina in funzione simbolica, rappresentano sempre il padre e la madre; la separazione significa morte; la salvezza, specialmente dalle acque .significa nascita. Questi significati sono fortemente stereotipati, per quanto non siano affatto invariabili, ed è proprio questo loro carattere che ha dato motivo a nuove critiche. L'interpretazione dei simboli gioca una parte considerevole nell'interpretazione dei sogni e dei sintomi nevrotici.
Capitolo III
LA SESSUALITÀ
Proprio su questo tema si accentra la principale opposizione alla psicoanalisi. Le incomprensioni e le interpretazioni errate riguardo ai principi della psicoanalisi sono frequentissime. Intanto viene detto spesso che Freud estende l'uso della parola «sessuale» tanto ingiustificabilmente da rendere inevitabile l'incomprensione. È vero che Freud applica il termine «sessuale» molto più largamente del consueto, ma, strettamente parlando, non è tanto il significato della parola che egli estende quanto le varie concezioni espresse da questa parola. Le cose sarebbero semplificate se si considerasse che quando Freud usa la parola «sessuale» (A questo punto bisogna chiarire la confusione deprecabile che sorge dall'errore corrente che consiste nell'usare la parola «sesso» dove invece si intende <«sessuale». Un conflitto di sesso, per esempio, è un conflitto dove il soggetto è il sesso, ossia la differenza fra maschilità e femminilità; un conflitto sessuale, invece, è ogni conflitto dove il soggetto è la sessualità), egli desidera soltanto esprimere il medesimo significato di ogni altra persona. La complicazione appare nei due esempi seguenti. Per certe ragioni Freud può arrivare alla conclusione stupefacente che il piacere che proviamo facendo una certa cosa, come per esempio mordersi le unghie, è essenzialmente sessuale. Ma egli non usa la parola «sessuale» in nessun senso esoterico; egli realmente intende che il piacere è sessuale nel senso comune della parola. Poi, ancora, Freud ci fa intendere che un altro genere di piacere, per quanto non sessuale in se stesso, è derivato da fonti sessuali con un processo di trasformazione. Così per esempio si è trovato che il piacere del ballo, che viene considerato normalmente più o meno a-sessuale (per solito meno che più) deriva da idee sessuali e dai desideri presenti nell'inconscio. Tali desideri sono presenti proprio durante l'atto del ballo.
La «cortina di ferro» che la società ha posto su tutte le forme della sessualità, e l'estensione dei pregiudizi moralistici contro tutti gli aspetti di questo peccato capitale (si pensi che il termine «immorale» è comunemente usato al posto di «sessuale») è soltanto un'eco dell'interna repressione degli impulsi sessuali, dalla quale possiamo farci una pallida idea di come tenaci e profondi siano questi impulsi. La maggior parte di questa repressione interna è del tutto inconscia, ciò dimostra che noi ci riferiamo a un fatto completamente diverso dall'ordinario pregiudizio cosciente. Non sorprende l'apprendere che la parte giocata nell'inconscio dagli impulsi sessuali è molto più estesa di quella che questi giocano nella coscienza. Così pure non sorprende che ogni tentativo di resistere al loro ostracismo e di lasciarli pienamente liberi susciti una violenta opposizione. Questa opposizione spesso assume una forma emotiva e del tutto generica, come per esempio, quando Freud viene accusato di «pan-sessualismo», di essere «un pazzo della sessualità», o di «ridurre ogni cosa al sesso». Certamente Freud, fra i tanti problemi esaminati, ha avuto molto a che fare nei suoi lavori coi problemi della sessualità: se avesse studiato problemi chimici o fisiologici, sicuramente avrebbe potuto dilungarvisi molto di più senza suscitare tanti risentimenti.
Le conclusioni di Freud meno accettate dal pubblico sono senza dubbio quelle che riguardano la sessualità dell'infanzia. L'esperienza di Freud è assolutamente contraria all'idea popolare la quale ritiene che l'istinto sessuale si manifesti per la prima volta negli anni dell'adolescenza (quando si tratta di fanciulle verrebbe fuori, all'improvviso, soltanto dopo la celebrazione del matrimonio !) e che ogni segno di essa durante l'infanzia debba essere considerato come una precocità morbosa. Freud afferma, al contrario, che i fanciulli nascondono la natura sessuale dei loro interessi a loro stessi più ancora che agli adulti. Questi ultimi si rifiutano di capire gli impulsi infantili e puniscono i fanciulli come se questi fossero semplicemente dei «bambini cattivi». Soltanto una generale «congiura del silenzio» può far chiudere gli occhi della gente su fatti evidenti ad ognuno, come l'interesse per il proprio corpo ed altre abitudini dei fanciulli, come curiosità, amori, gelosie e così via. Freud considera che l'istinto sessuale è attivo dal primo all'ultimo giorno della vita e che si manifesta in una grande varietà di modi, di cui spesso non riconosciamo la vera natura. Per esempio, è del tutto erroneo limitare la nostra considerazione in materia sessuale soltanto agli organi del sesso, poiché è ormai evidente che altre parti del corpo (labbra, petto ecc.) assumono una parte rilevante, sia pure subordinata (in certe circostanze invece, come nelle così dette perversioni, questi interessi subordinati possono assumere l'importanza che, di solito si riserva agli organi più specifici).
Secondo la psicoanalisi, l'istinto sessuale è un istinto complesso il quale è costituito da vari componenti che tendono a fondersi in una sola identità senza, tuttavia, riuscirvi sempre. Questo istinto deve passare attraverso un corso piuttosto elaborato di sviluppo, durante il quale possono sorgere varie difficoltà, come errori nello sviluppo, arresti a certi stadi («fissazioni») e così via. La caratteristica tipica della natura umana è che questo sviluppo deve essere percorso due volte, dapprima all'inizio della fanciullezza, prima dei 5 anni, poi nel periodo che segue la pubertà. Nell'intervallo (il «periodo di latenza») non c'è alcun progresso in questo sviluppo. La relazione tra i due stadi dello sviluppo è veramente interessante. Naturalmente essi non sono eguali: differenze fisiche e mentali fra il fanciullo e l'adulto rendono impossibile questa identità. Infatti, lo sviluppo dell'individuo, non è in genere, una semplice ripetizione dell'evoluzione della razza. Ma in ambedue i casi, c'è un considerevole parallelismo e il secondo sviluppo è determinato strettamente dalla natura del primo. In particolare, lo sviluppo sessuale dopo la pubertà, assume forme molto diverse poiché non ci sono due individui esattamente simili l'uno all'altro nelle particolarità sessuali.
Le linee principali in cui si svolge questo sviluppo, e spesso anche strani particolari, sono già state tracciate nella prima fase dell'infanzia. Questa è la ragione per cui è impossibile capire o rimediare gli errori nella seconda fase, che si manifesta nella pubertà (insieme con le complicazioni conseguenti a disordini nevrotici) senza prendere nella dovuta considerazione quei lineamenti della prima fase che determinano gli aspetti della seconda. Tutto il ricordo della prima fase è generalmente dimenticato durante la grande ondata di repressione che accompagna questo periodo dell'infanzia; una parte di esso non era infatti cosciente neppure a quel tempo e può essere ricuperato soltanto mediante una «apertura» psicoanalitica dell'inconscio.
Daremo adesso un breve cenno del primo sviluppo dell'attività sessuale, esaminando l'attività sessuale propriamente detta e gli «oggetti» verso cui si indirizza. Il primo stadio dell'attività sessuale che viene chiamato «orale», consiste nelle varie forme del succhiare e dell'inghiottire e può essere suddiviso in due fasi, quella del succhiare e quella del mordere.
Gli impulsi nutritivi ed erotico-orali sono indistinguibili gli uni dagli altri, essendo l'atto il medesimo in ambedue, tuttavia si può osservare che il succhiare acquistata presto un significato proprio indipendentemente dalla fame. Ogni nutrice sa che l'irrequietezza dell'infante può essere quietata dandogli un «ciuccino», e che questo bisogno non ha niente a che fare col desiderio di cibo. Più tardi, il bambino rimpiazza il capezzolo e il ciuccino col suo pollice e continua a mordersi le unghie o a compiere altri atti dello stesso tipo con altri oggetti che gli sembrino adatti ad essere succhiati. Perfino da adulto, le labbra continuano a funzionare in questo senso, poiché il baciare non è altro che una forma attenuata del succhiare, come lo sono altre azioni abbastanza comuni, compiute con la bocca. Il secondo stadio, chiamato «sadico-anale» è caratterizzato da uno strano intreccio di impulsi. Da un lato vi si può scorgere quel modo di agire tipico dell'infanzia, rozzo, rumoroso, insofferente e spesso crudele che i genitori trovano così esasperante; dall'altro vi si possono trovare anche altri indizi di interesse, curiosità, giochi segreti e attitudini mentali complicate, riguardo a certi bisogni del corpo. Terzo ed ultimo stadio è lo stadio «genitale», dove questi organi acquistano quell'importanza preponderante nella sfera che è loro propria e che conserveranno durante il resto della vita; dal lato mentale questo stadio è accompagnato dallo sviluppo dell'attitudine all'amore e dall'altruismo.
Se esaminiamo il fine di queste attività istintive, dobbiamo dividerle in tre differenti stadi. Nel primo, «autoerotico» non esiste, a rigore l'oggetto; il fanciullo cerca la ricompensa nel proprio corpo, ma difficilmente avverte un senso di «io» o di «cosa». Nel secondo stadio, «il narcisismo» l'io si è sviluppato e viene assunto come oggetto dell'istinto; il bambino prende ad amare se stesso, assumendo un atteggiamento che non viene più lasciato interamente. Il terzo stadio è lo stadio «critico». Qui il bambino cerca nel mondo esterno un oggetto non solo per la sua affezione ma anche per le sue fantasie sessuali coscienti o inconscie. È inevitabile che questo istinto si riferisca dapprima a coloro che sono più vicini al bambino, cioè ai membri della sua stessa famiglia. Le difficoltà sorgono quando le fantasie (e spesso gli atti), soddisfatte in un primo tempo con individui della propria età, cominciano ad essere trasferite a quelli della generazione passata, e principalmente, ai genitori. È questo il famoso complesso di Edipo, nel quale si manifesta nel fanciullo una attitudine sessuale verso il genitore del sesso opposto, insieme ad una rivalità verso il genitore del proprio sesso; si può anche trovare un complesso edipico inverso dove accade l'opposto. Freud considera questo complesso come fondamentale in tutto l'inconscio; dal modo come il fanciullo si comporta riguardo al complesso di Edipo dipendono più che da ogni altra cosa il suo futuro carattere e il suo temperamento, e altresì ogni eventuale nevrosi futura.
È questo il più caratteristico e importante ritrovato di tutta la psicoanalisi e contro di esso sono dirette tanto le resistenze individuali, quanto le critiche grossolane che sentiamo ripetere contro la psicoanalisi. Non è esagerazione affermare che il complesso edipico è il vero responsabile di tutte le resistenze e di tutte le critiche alla psicoanalisi. Le varie conclusioni che riguardano la teoria psicoanalitica sono raggruppate intorno a questo complesso su cui si fonda o si condanna l'intera teoria.
Quasi tutto questo capitolo è stato dedicato al tema della sessualità infantile, non soltanto perchè la sessualità dei fanciulli è la scoperta più originale e più importante della psicoanalisi, ma perchè questa è la chiave adatta a comprendere i problemi degli adulti. Ogni problema dell'adulto nel campo della sessualità, (attriti o difficoltà del matrimonio, incapacità nelle relazioni coniugali, intimo significato di certi problemi sociali come la prostituzione o i turbamenti suscitati dal «birth control», tutte le gelosie, rivalità e conflitti fra i due sessi, l'origine delle varie perversioni e infiniti altri problemi simili), possono trovare tutti spiegazione esauriente soltanto se possiamo conoscere esattamente i primi stadi nello sviluppo di questo istinto. Attraverso la letteratura psicoanalitica è stata fatta luce sul significato e la genesi di attitudini mentali indicate dall'esistenza dei problemi che abbiamo sopra citato, come pure di molti altri sui quali non possiamo intrattenerci.
Capitolo IV
I SOGNI
Il lavoro di Freud sui sogni fu il primo contatto che egli stabilì tra la psicoanalisi e la psicologia generale. A quel tempo (1900) i sogni erano universalmente considerati non meritevoli di studio e di seria investigazione scientifica poiché si credeva che fossero prodotti da disturbi fisici che avvenivano nel cervello durante il sonno. Ogni tentativo di trovare un significato psicologico in essi aveva sapore di ciarlataneria da fattucchiere. È vero che l'essenza della teoria di Freud sui sogni è stata seguita soltanto da altri analisti, tuttavia, grazie alle sue ricerche è stato riconosciuto come lo studio dei sogni sia una cosa seria, molto importante per la psicologia. Lo studio dei sogni poi è di grandissimo aiuto pratico nel trattamento di quei disordini nervosi per esaminare i quali è necessario penetrare nei più profondi strati della mente.
Il primo punto da trattare sull'argomento dei sogni è la differenza tra il «contenuto manifesto», ossia il sogno come è ricordato, e il «contenuto latente», ossia la ricerca di quei pensieri che hanno condotto al sogno e che vengono accertati per mezzo di un'analisi dettagliata, eseguita con il metodo delle libere associazioni. Nella formazione di un sogno si ha soltanto una trasposizione (tecnicamente chiamata lavoro del sogno) dell'ultima serie dei processi mentali in un'altra, ciò che spiega la ragione per cui non troviamo nessuna operazione intellettuale. Potremmo parlare a lungo riguardo alle cause di questa trasformazione, specialmente in rapporto all'origine dei pensieri latenti.
Le associazioni ottenute con l'analisi comprendono tutti i processi mentali e cioè, desideri, paure, speranze, ragionamenti e così via, ma Freud sostiene che in essi il nucleo indispensabile per la formazione di sogni, è un desiderio di appagamento, vale a dire la soddisfazione immaginaria di un desiderio (per lo più represso). Limitando l'analisi alla superfìcie e facendo una confusione fra il materiale così ottenuto ed il meccanismo inconscio del vero e proprio lavoro del sogno, potremmo allora affermare che i sogni hanno varie origini, e che sono originati anche da paure, da tentativi di risolvere problemi correnti e così via, e questo è un errore che viene commesso abbastanza facilmente.
Freud sostiene che la funzione di ogni sogno è di proteggere il sonno, ciò che si ottiene (o si tenta di ottenere) convertendo in un desiderio appagato ogni stimolo che minaccia di disturbare il sonno, e alleviando in questo modo l'effetto dello stimolo. Il tipo più semplice di sogni, si nota qualche volta nei bambini (molto più raramente negli adulti). In questi sogni un desiderio disturbatore è semplicemente «ricompensato» dall'immaginazione; l'assetato beve liberamente e l'affamato fa un lauto pranzo. Ma è raro che un sogno sia così semplice come in questi casi.
Lo stimolo disturbatore può essere di natura fisica o mentale, come un dolore allo stomaco o la persistenza di un pensiero molesto durante il sonno. Nella maggioranza dei casi (ma solo occasionalmente, in chi dorme profondamente) il sollievo dal disturbo avviene in modo più complesso. Il pensiero entra in relazione con un desiderio represso (ossia inconscio) dell'infanzia. Questo desiderio represso, immaginato come soddisfatto, passa attraverso un elaborato cambiamento prima di risalire alla coscienza e di presentarvisi come il sogno stesso. Il cambiamento è reso indispensabile perchè ciò che deve essere rappresentato appartiene alla parte repressa della mente la quale è, in se stessa, incapace di raggiungere la coscienza. Prima di questo sviluppo, è necessario l'intervento della «censura», la quale si interpone tra il conscio e l'inconscio. Se l'intensità del desiderio represso è troppo forte, il «lavoro del sogno» è incapace di adempiere al compito necessario; il sogno non consegue il suo scopo e, il dormiente si sveglia. Egli deve svegliarsi proprio per evitare il pericolo dell'impulso inconscio che sta per emergere; e questo egli lo può fare molto meglio in uno stato di veglia quando l'attività della «censura» è molto più grande; molti pensieri inconsci, infatti, possono arrivare sotto forma di sogni, alla coscienza durante il sonno, cosa invece impossibile in stato di veglia. Sogni di questo tipo sono spesso accompagnati da una grande paura o da altre emozioni spiacevoli, che naturalmente sono di speciale valore per lo studio dell'inconscio.
Dobbiamo ora distinguere chiaramente i due diversi stadi che hanno luogo nella maggior parte dei sogni, prima che lo stimolo disturbatore sfoci nel sogno compiuto e che sono l'agitarsi dello stimolo sotto la forma di desiderio represso e la sua trasformazione in desiderio appagato attraverso l'immagine che è accettabile dalla coscienza. Dobbiamo dire qualcosa di più riguardo a questo secondo processo di deformazione, che rende la maggioranza dei sogni così assurdi e incomprensibili. Il significato di questa deformazione è un problema molto difficile a spiegarsi anche con l'ipotesi suggerita sopra, sebbene il fatto in se stesso si possa accertare facilmente. In certi sogni avviene talvolta che un luogo o una persona si presentino come un fotomontaggio, cioè due o più luoghi o persone vengono fusi insieme. Ancora più spesso accade di vedere uniti insieme elementi di due cose distinte ed altre volte accade anche di veder sottratti elementi uguali a cose diverse. Questo meccanismo di fusione è chiamato « condensazione» e si può presentare in tutte e due le direzioni: un elemento del contenuto manifesto del sogno può essere connesso con molti altri nel contenuto latente e viceversa, per cui l'analisi del sogno risulta simile al dipanamento di una matassa. Un altro processo è lo «spostamento» che si avverte quando l'accento del significato è trasferito dal luogo di origine ad un punto di minor importanza intrinseca. Le idee del contenuto latente sono di solito «drammatizzate», ossia espresse in termini di azione. Persino al momento di passare nella coscienza, avviene un ulteriore cambiamento, chiamato «elaborazione secondaria», che si manifesta dopo il risveglio, per il quale il sogno ricordato o descritto sul momento differisce molto da uno ricordato più tardi. L'analisi dei sogni dimostra pienamente che a quest'ultimo sviluppo sono dovute tutte le caratteristiche di ordine o di significato che il sogno sembra apparentemente possedere.
Si è potuto dimostrare che i pensieri nascosti nel sogno si riferiscono ad un inconscio infantile. Questi pensieri, contemporaneamente regrediscono anche dalla loro forma ideativa fino alla materia primordiale di tutti i pensieri, cioè all'immagine sensoriale. Questa immagine, nei sogni, è per lo più, visiva, per speciali ragioni, ma talvolta possiamo trovare in essa altre impressioni sensoriali, come suono e colore. Come è logico aspettarsi da un processo unito strettamente all'inconscio, il simbolismo si ritrova spesso nei sogni che sono, perciò, una delle fonti principali per l'esame del simbolismo medesimo.
Quando analizziamo i sogni ci accorgiamo che la maggior parte di essi sono costruiti con il materiale ricavato o dalla vita corrente o dall'infanzia. Per questa ragione lo studio dei sogni rappresenta sempre una parte insostituibile per l'investigazione dei disturbi che si verificano nei più profondi strati mentali, ed è ugualmente indispensabile per ricercare la sorgente (in un precoce sviluppo) delle varie reazioni emotive connesse con questo. (Viene usato anche clinicamente, per questi due scopi, tenendo presente che l'ultimo è naturalmente il più difficile). Per mezzo di questo studio si può penetrare negli strati più intimi e primordiali della mente e non dobbiamo sorprenderci se gli «appagamenti» incontrati, invariabilmente di natura egocentrica si manifestino sempre come desideri personali anche quando si riferiscono ad altre persone.
Dato che la maggior parte degli analisti si è occupata più dello studio dell'inconscio che dei sogni di per se stessi, usando questi ultimi solamente per il loro scopo, dobbiamo ammettere che questo fatto offre una parziale giustificazione a quanti affermano che «Freud dice che tutti i sogni sono sessuali». Ma in realtà, nella teoria di Freud non c'è affatto un rapporto inevitabile tra i sogni e la sessualità; la funzione dei sogni, esposta sopra, non ha niente a che fare con la sessualità; i pensieri molesti che stimolano i sogni possono essere di natura sessuale come di altra natura; l'« appagamento» di un desiderio, che è la causa di un sogno non è esclusivamente di natura sessuale, sebbene lo sia il più delle volte.
Capitolo V
ERRORI DEL FUNZIONAMENTO MENTALE
Questo capitolo è la parte più conosciuta e accettabile della psicoanalisi e, nello stesso tempo, se attentamente seguita, molto istruttiva. Questo perchè i fenomeni qui trattati sono accessibili ad ognuno e costituiscono i modelli di problemi molto più complessi. Il soggetto consiste nelle molte specie di «lapsus» del funzionamento mentale, nella vita di tutti i giorni: «lapsus» nel parlare, nello scrivere, nel perdere gli oggetti e simili. Questi lapsus si possono, classificare in: A) Lapsus di movimento che si distinguono a loro volta in 1) fare uno sbaglio nell'esplicare un proposito stabilito intenzionalmente, parlando, scrivendo o in altre azioni; 2) esprimere un proposito non intenzionale, «accidentale», cioè fare qualcosa che realmente non si intenda di fare. B) Lapsus sensoriali cioè: 1) semplici mancanze di memoria, trascuratezze e simili; 2) percezioni errate, errore di memoria, di immaginazione e così via. Questi errori, che rappresentano imperfezioni nel normale funzionamento della mente, sono simili a sintomi nevrotici minori e, infatti, l'indagine di questi «lapsus» mostra che questa rassomiglianza è notevole (sebbene, naturalmente, mai sia totale), e che presenta aspetti comuni. Però i «lapsus», sono soltanto disturbi temporanei di una funzione che in altro momento verrebbe svolta perfettamente: l'imperfezione viene subito riconosciuta appena vi facciamo attenzione. Noi, di solito, non diamo nessun significato a questi «lapsus» e li «spieghiamo» come se essi fossero dovuti a disattenzione, casi fortuiti e così via.
Freud al contrario, ha dimostrato che la maggior parte di questi fenomeni sono realmente determinati da un processo mentale del quale il soggetto è, in quel momento, inconsapevole. È questo un esempio del modo con cui egli ha seguito la sua fede nel determinismo assoluto perfino in argomenti minuti e spesso apparentemente di poca importanza. È da notare che Freud non ha fatto altro che estendere, in questo caso, una conclusione già intuita dall'opinione corrente. Per esempio, un uomo che ha mancato a un appuntamento cercherà invano di essere perdonato con la scusa di una dimenticanza, perchè questa scusa farà soltanto aumentare il risentimento della signora. Anche se l'uomo ricorrerà alla solita spiegazione psicologica e racconterà che la sua mente era presa da affari urgenti, che gli hanno fatto scordare l'appuntamento, si sentirà sempre rispondere: «Come è strano che questo non accadesse l'anno passato ! Vuol dire che tu pensi meno a me». Così, quando un marito comincia a trascurare la moglie, dimentica il suo compleanno, ecc., essa giustamente interpreta questa mancanza di attenzioni come un cambiamento nelle loro relazioni coniugali. Un altro campo in cui raramente sbagliamo nel trovare un significato all'errore è quello che riguarda i nostri nomi personali. Poche persone possono evitare un senso di risentimento quando trovano che il loro nome è stato dimenticato, specialmente se l'errore avviene da parte di qualcuno da cui non ci si aspetta. Quando un mio paziente mi chiama Dr. Smith, invece che Dr. Jones, io non mi faccio certo illusioni sull'opinione che il paziente ha di me.
Prendiamo ora il caso più semplice. Un aspetto della teoria della repressione di Freud, che è stata delineata sopra, trova la sua applicazione nel campo della memoria. Lasciando da parte l'imbarazzante problema della «poca memoria» in generale, limitiamoci al caso più semplice, che si ha quando una persona dimentica ad un tratto un nome o qualcosa che conosce perfettamente. In quest'ultimo caso, si può constatare una vera e propria disfunzione mentale, assolutamente inaspettata, che costituisce un «problema» vero e proprio. Secondo Freud, ci deve essere, in questo caso, una ragione specifica che impedisce di ricordare; la reazione può essere interamente inconscia e in totale contrasto con gli sforzi disperati che la persona fa coscientemente per richiamare il ricordo alla memoria. Può darsi anche che il motivo sia connesso proprio con il ricordo, come quando fa parte di un'insieme di pensieri spiacevoli o più spesso, che sia unito a qualche altra idea singola o associata con cui il ricordo in questione può essere stato in contatto. Il dimenticare non è precisamente un difetto, ma un «atto» che si compie all'insaputa del soggetto. La psicoanalisi di ciascun esempio particolare può dare una spiegazione precisa del perchè di questo «lavoro». La stessa spiegazione è stata ritenuta adattabile a due campi più estesi. Tutte le nevrosi dipendono da amnesie e, in certi casi di isteria, vi può essere grande perdita di memoria che si estende talvolta fino al nome della persona, al suo passato, alla sua identità. Sia qui, che nel campo più comune dell'amnesia infantile, Freud ha potuto dimostrare che il dimenticare è un proposito reale, il quale tende a evitare alcuni aspetti della conoscenza di noi stessi. Il fatto che possiamo tenere a mente soltanto una piccola parte dei ricordi della nostra fanciullezza, mentre sappiamo che quel periodo della vita era ricco di una complessa esperienza mentale, ci induce a credere che quei ricordi non avevano bisogno di spiegazione. Questo è uno dei molti esempi di quei fenomeni che Freud ha investigato e spiegato, mentre fino allora la vera esistenza del problema era largamente ignorata.
Si possono citare uno o due esempi di «soppressione» dell'intenzione. Quando una persona è di solito capace di ricordare di impostare una lettera, una sua occasionale dimenticanza dimostra una specie di difesa; questo può essere il rapporto con il contenuto della lettera, non essendo una parte di lui decisa ad inviarla, o con un'altra ragione più indirettamente associata o addirittura per il semplice fatto di aver avuto l'incarico di impostare la lettera in un momento di fretta. Ognuna di queste cause può essere accertata soltanto mediante l'analisi.
D'altra parte, se si tratta di una di quelle persone alle quali non si possono affidare, a cuor leggero, lettere da impostare, ciò può esser dovuto al fatto che l'idea della lettera ricorda al soggetto una idea più strettamente personale nel suo inconscio e il suo modo di agire dimostra una riluttanza ad allontanarsi da un possesso; fatto, quest'ultimo, che può associarsi o meno con un carattere generico di avarizia. Un caso analogo si verifica con la gente notoriamente incapace di restituire i libri avuti in prestito; la loro costante dimenticanza rivela una tendenza all'accaparramento (che essi, in piena sincerità, smentirebbero, qualora venissero accusati di questo) connessa con i libri, per una particolare reazione inconscia.
Un secondo gruppo di tali disfunzioni si può notare nei casi in cui un impulso interferisce con un altro. Uno vorrebbe dire o scrivere o fare qualche cosa coscientemente, ma qualche altro impulso, di cui egli non è conscio, si fa strada in lui a causa di distrazione, stanchezza, o concentrazione dell'attenzione e tende a manifestarsi attraverso l'espressione. Un paziente, che voleva essere curato da una sua paura anormale delle infezioni disse: «Ultimamente ci sono stati diversi casi di paura nel nostro quartiere » usando la parola «paura» al posto di «febbre» (In inglese febbre = fever; paura = fear, le due parole sono facilmente confondibili). Ciò che causò l'errore non era (come i filologi vogliono sostenere), il fatto che le due parole hanno molto in comune (ognuna di esse essendo formata da due sillabe, e cominciando con «fe» e finendo con « r») ma il fatto che la parola febbre era fortemente investita dall'emozione della paura. Sembrava che il paziente avesse voluto esser curato dalla paura piuttosto che dalla febbre temuta. Ogni giorno il lavoro dello psicoanalista chiarifica diversi esempi di questi «lapsus», l'interpretazione dei quali è un compito utile, e di solito molto facile, nell'analisi. Gli stessi «lapsus» si verificano in certi casi «accidentali», come gli smarrimenti di oggetti, i quali sono quasi sempre determinati da motivi inconsci, anche se questa ipotesi non sembra possibile alla mente cosciente che è indirizzata abitualmente, a conclusioni opposte.
Un gruppo ancora più interessante di «lapsus» riguarda i casi in cui la persona non commette soltanto un errore nell'esplicare un suo proposito, ma addirittura compie un atto diverso da quello che coscientemente avrebbe voluto fare, commettendo atti non guidati dalla volontà e dalla coscienza. Noi abbiamo qui una gradazione di casi che vanno dalla volgare rottura di un bicchiere (commessa « incidentalmente» per alleviare segrete seccature), al caso tragico in cui la morte può essere il resultato di qualche impulso inconscio che trova una sua involontaria espressione. Molte collisioni, disastri ferroviari e automobilistici, sciagure di montagna ecc., sono determinati da atti sciocchi che si manifestano come espressioni automatiche e inconscie di un impulso omicida o suicida, o di altro genere.
Per l'analisi degli esempi e per i confronti delle affermazioni qui brevemente indicate, il lettore dovrà documentarsi in altri libri scritti su questi argomenti, specialmente per quanto riguarda il problema della libera volontà; ma possiamo già aggiungere una parola intorno al significato sociale del processo studiato. Quest'ultimo è molto più importante di quello che si può immaginare. È certo che ognuno di noi (specialmente se ha molta sensibilità), può intuitivamente interpretare il significato dei «lapsus» molto meglio di quanto viene, di solito, riconosciuto coscientemente e che — fatto più importante — la gente può reagire in vario modo alla percezione inconscia della manifestazione involontaria «di se» dell'altra persona. In realtà, molte incomprensioni, nella vita, nascono proprio dall'opposto, cioè da una percezione troppo acuta di questi «lapsus». Ad esempio una persona accusa un'altra di certe tendenze che a quest'ultima ripugnano profondamente: perchè queste tendenze rappresentano proprio quello che egli si sforza di non riconoscere in se stesso. Si sa bene che la maggior parte delle dispute familiari e matrimoniali, anche le più gravi, derivano apparentemente da inezie, ma proprio queste inezie rivelano tendenze e inclinazioni la serietà delle quali non è così sproporzionata agli effetti di cui tali inezie sembravano essere la causa.
Capitolo VI
DISORDINI DEL FUNZIONAMENTO MENTALE
Questa parte dell'argomento è importantissima e sarà sempre la base principale su cui si poggeranno le conclusioni psicoanalitiche. In nessun'altra parte vi è una così mirabile «lente di ingrandimento» come quella che è rappresentata dalla sofferenza nevrotica ossia dall'opportunità di venire a trattare con i fatti stessi della vita. Le lenti di ingrandimento, oltre che ingrandire, deformano gli oggetti. Pertanto, gran parte dei dubbi, che riguardano i ritrovati psicoanalitici, sono dovuti al fatto di essere ottenuti da un materiale considerato insicuro ed anormale al tempo stesso. Bisogna perciò affermare risolutamente che ambedue queste supposte deficenze sono di un genere molto superficiale: sarebbe esatto dire che nell'insieme, esse sono deficenze più apparenti che reali. Il fatto che il materiale psicoanalitico sia più o meno meritevole di fiducia è questione riguardante la tecnica della psicoanalisi e non può essere trattato adeguatamente in questa sede. Quanto all'«anormalità» invece, noi possiamo richiamare l'attenzione su alcune considerazioni rilevanti.
La deviazione del così detto «normale» (incidentalmente, è una condizione in cui il presente scrittore non si è mai imbattuto) è interamente quantitativa, non qualitativa. Molti dei sintomi propri dei disordini nevrotici possono colpire una persona normale a prima vista, perchè sono estranei alla sua immaginazione, ma sintomi paralleli minori possono, invece, essere ritrovati nella esperienza di ogni giorno: quelli nevrotici sono poco più che ingrandimenti. Infatti, quando si penetra dentro il concatenarsi delle cause di cui questi sintomi rappresentano la manifestazione finale, ci si trova a un tratto su un suolo familiare. Via via che si procede in profondità in questa direzione, i rapporti con i problemi del normale sviluppo, diventano più intimi e resta più difficile specificare le distinzioni essenziali fra il normale e l'anormale. Noi possiamo avvicinarci alla verità ma non possiamo stabilire con sicurezza se un fanciullo, in seguito, soffrirà o meno di disturbi nervosi.
Da queste considerazioni consegue che i disordini nervosi devono essere considerati meno da un punto di vista «medico» di quanto vien generalmente fatto. Essi non sono certamente «malattie» nel senso corrente della parola, ma sono, piuttosto, un particolare modo di reagire a quelle difficoltà nello sviluppo comuni a tutti. Tutte le nevrosi sono manifestazioni di difficoltà nei rapporti umani, tantoché se desideriamo usare per loro la parola «malattia» dovremo poi distinguere fra i casi di malattia vera e propria che rappresentano una relazione anormale tra l'individuo e il suo «ambiente» fisico, e le nevrosi che rappresentano invece una relazione anormale tra l'individuo e l'ambiente umano. Il primo caso è un soggetto di studio per la fisiologia, il secondo invece appartiene alla sociologia.
L'affermazione che stiamo facendo può essere chiarita paragonando il soggetto del presente capitolo con quello del precedente. Nessuno chiamerebbe un «lapsus» una malattia e infatti le sole investigazioni sull'argomento che sono state fatte prima di Freud, furono intraprese da filologi e, occasionalmente, da psicologi. Eppure un «lapsus» della parola è indubbiamente un fenomeno anormale e rappresenta un'alterazione nel funzionamento di un certo meccanismo mentale e fisico. Inoltre, una ricerca accurata mostra che c'è veramente una maggiore corrispondenza fra la natura di questa alterazione e quella delle manifestazioni nevrotiche. Questo è soprattutto vero nel caso dei sogni, la struttura dei quali è simile in modo sorprendente a quella dei sintomi nevrotici, eppure nessuno ha mai pensato di affermare che i sogni non sono casi del tutto normali.
Non occorre che noi parliamo qui dei dettagli che si verificano nel trattamento dei disordini nevrotici o nel loro aspetto clinico. È sufficiente dire al riguardo che ci sono due tipi principali di nevrosi e cioè la nevrosi isterica e quella ossessiva e che il meccanismo psicologico dei vari tipi mostra notevoli differenze. Le manifestazioni possono essere o positive, come la sofferenza o il tremore, o negative, come la mancanza di una particolare sensazione o l'inibizione di una particolare capacità. Possono essere fisiche come il vomito persistente o la cecità, o puramente mentali come una paura intensa o una ossessione torturante. Questi sintomi definiti sono in cima a una scala, in fondo alla quale le manifestazioni nevrotiche sembrerebbero, da un punto di vista strettamente medico, molto indefinite per quanto non meno reali, come certi mali pratici quali una intensa generale infelicità, l'incapacità a fronteggiare situazioni di famiglia, matrimoniali, sociali, o professionali.
Prima questi stati venivano spiegati mediante la cooperazione di due fattori: debolezza ereditaria della costituzione nervosa (una frase pomposa ma in realtà vuota) e difficoltà correnti, fra le quali la delusione in amore e il sovraccarico di lavoro, erano le più tipiche. Tra queste due, Freud ne ha inserita una terza, ossia l'effetto di certe esperienze compiute durante lo sviluppo della prima sessualità. Egli non ha in nessun modo negato il significato delle prime due: al contrario, ha fatto molto per definire più dettagliatamente la natura essenziale di esse e la continuità precisa che sussiste fra tutte e tre. Il corso degli eventi che conduce alla nevrosi può essere descritto brevemente nelle righe che seguono. La combinazione dei due più antichi fattori derivati rispettivamente dall'ereditarietà e dalla infanzia, prepara una particolare costituzione mentale che rende difficile per una persona di affrontare le varie esigenze della vita. Quest'ultime sono specifiche in ciascun caso, dipendenti dalla particolare costituzione di ognuno. Vi sono uomini capaci di affrontare la morte in battaglia, ma non di fare un discorso in un pranzo; in altri casi si verifica il contrario. Perciò le situazioni trovate «difficili» o impossibili possono essere o del tutto insignificanti (se non fosse per una speciale importanza che acquistano dalla loro relazione con una particolare predisposizione sopra menzionata) come possono essere difficili per una persona normale (come affrontare un dolore, un fallimento, un pericolo morale o fisico e simili), come infine, possono apparire così generali da venire considerate come l'essenza stessa della vita. In questa classificazione bisognerebbe inserire i casi che si verificano quando uno ha un collasso in certe età critiche o quando deve affrontare responsabilità normali della vita.
In queste particolari situazioni, una persona destinata alla nevrosi si rinchiude in se stessa, va soggetta a quella che è chiamata una «introversione» e sviluppa una serie di fantasie nel tentativo di rimediare e di dimenticare le difficoltà reali. Queste fantasie presto vengono associate con quelle inconscie e dànno luogo a uno stato di regressione la cui azione perturbatrice si irradia fino ai più profondi e remoti strati dell'inconscio. Quando la parte repressa dell'inconscio è a sua volta, riattivata, gli impulsi che la compongono vengono naturalmente in conflitto con le forze represse opposte emananti dall'Io. Queste forze sono state agitate, e richiedono un'espressione. Ora, le manifestazioni della nevrosi non sono altro che l'espressione camuffata di questi impulsi repressi, e il camuffamento è prodotto in modo molto simile, se non del tutto identico, a quello descritto in un precedente capitolo per la formazione dei sogni. In una parola, una nevrosi, è la manifestazione esterna di un conflitto (inconscio) tra le parti più essenziali della personalità.
È caratteristico della nevrosi, in contrasto con gli altri fenomeni considerati precedentemente (lapsus e sogni), che a parte la forma esterna e il significato pratico, i suoi fattori essenziali sono invariabilmente di natura sessuale. Questo non riguarda naturalmente la causa istigatrice che ha messo in movimento il processo descrittivo, ma vale invece per i fattori che determinano la predisposizione specifica come pure per l'energia che crea e sostiene i sintomi nervosi. Secondo la psicoanalisi, quest'ultimi sono semplicemente espressioni mascherate della sessualità infantile (non sono mai invece espressioni di quella che ordinariamente è chiamata sessualità negli adulti, cosa che può condurre facilmente a confusioni). La teoria di Freud per la quale il complesso di Edipo costituisce il nocciolo di ogni nevrosi diviene più comprensibile, sebbene non meno sorprendente.
La scoperta, adesso largamente accettata anche nei circoli non analitici, che la sofferenza nevrotica è dovuta soprattutto a conflitti inconsci, è stata utilissima in vari casi di cura, che era invece del tutto empirica prima che si conoscesse qualcosa riguardo alla patologia della loro origine. Oggi è invece accertato, che ci sono soltanto due modi con cui è possibile curare questi penosi disordini. Uno, il più ambizioso, è il trattamento per mezzo della psicoanalisi che rende consci entrambi i lati del conflitto, e che perciò presenta l'opportunità di raggiungere una soluzione più soddisfacente e meno nevrotica. Infatti la condizione essenziale per la nevrosi era l'inconsapevolezza dei fattori causativi: tale condizione viene distrutta dalla psicoanalisi. Accade in questo caso che la cieca repressione tenuta in vita dalla dittatura del super-Io infantile (vedi il I capitolo di questa sezione) viene sostituita dal controllo cosciente esercitato dall'Io stesso. In realtà, tutti gli altri metodi di trattamento (qualunque sia la loro pretesa) agiscono invece rafforzando solo il super-Io attraverso l'identificazione inconscia che si stabilisce fra l'idea del dottore e quella del genitore (da cui era derivato il super-Io). C'è un forte limite a quanto può essere compiuto per mezzo di questi indirizzi poiché essi non presentano la soluzione del conflitto, e, a sua volta, la dipendenza dall'«influenza di suggestione» porta con se grandi svantaggi.
Questa «influenza di suggestione» opera naturalmente anche nella psicoanalisi ma l'intima essenza di ciò che è stato analizzato e risolto per suo merito, si rivela non essere altro che la morbosa dipendenza dal Super-Io infantile.
APPLICAZIONI DELLA PSICOANALISI
Capitolo I
LA MEDICINA
I medici non hanno ancora apprezzato il significato che la psicoanalisi può avere tanto per i loro problemi pratici quanto per la loro visione generale. La psicoanalisi costituirà un anello di congiunzione di incalcolabile importanza, tra i problemi medici e quelli sociali, mostrando un lato dell'argomento su cui non abbiamo bisogno di dilungarci. Accade pure che la impostazione generale della psicoanalisi è oggi in armonia coi più recenti punti di vista sviluppati adesso dalla medicina stessa. Con questo noi intendiamo riferirci alla tendenza sempre maggiore, di studiare più l'aspetto funzionale dell'organismo e il problema pratico di come il corpo funziona realmente, invece che lo stato anatomico dei vari organi. In linguaggio medico si può dire che l'attenzione si è «centralizzata» sulla funzione invece che sulle lesioni. Questo si accorda bene col punto di vista introdotto dalla psicoanalisi secondo cui, ponendo l'accento su forze attive, repressioni, conflitti ecc., esso viene ad essere interamente dinamico e funzionale.
Il campo nel quale la psicoanalisi si sovrappone più evidentemente alla medicina è quello delle nevrosi, che sono state sempre la disperazione dei medici, il loro più grande atto di accusa, e che, inoltre, sono servite a fornire le migliori opportunità ai ciarlatani. Quando si pensa che i medici esercitanti la professione dedicano la maggior parte del loro tempo all'indagine sul corpo invece che allo studio della mente, non è certo sorprendente che molti di essi trovino difficile l'apprendere un problema di patologia in termini di psicologia. I medici hanno una tendenza irresistibile a convertire una nevrosi in un problema puramente fisico e a riversare tutta la loro attenzione sui fattori fisici della nevrosi anche se questi sono minimi. È perciò estremamente difficile per uno che esercita la medicina di formarsi un giusto apprezzamento sulla straordinaria portata del disordine nevrotico anche nel campo ordinario della medicina. È dubbio se esiste un altro gruppo di disfunzioni del corpo così pieno di conseguenze come quello nevrotico, e che non sia come questo legato strettamente ai disordini fisici. Tuttavia è forse da considerare esagerata l'affermazione, che almeno la metà dei mali che richiedono le cure mediche sia di origine nevrotica.
Lo scarso rispetto tributato alla psicologia nella cultura medica non è, forse, da disgiungere dal modo con cui i problemi sessuali vi sono trattati. Fra la gente comune prevale l'idea che i medici hanno una segreta conoscenza di questo soggetto, e i problemi sessuali sono spesso eufemisticamente designati come «problemi medici». Molte persone rimangono sbalordite quando apprendono che i problemi sessuali non fanno parte dell'educazione medica e che i medici nelle loro scuole sono stati allontanati da questi problemi con la stessa cura meticolosa che viene usata nelle scuole per signorine. Il medico viene al mondo con la stessa ignoranza di un altro comune mortale e non bisogna perciò meravigliarsi se i dottori trovano più comodo affermare come oracoli che i fattori sessuali non hanno alcuna importanza nelle malattie invece di provvedere a rimediare alle manchevolezze della loro educazione.
È naturalmente impossibile aspettarsi che tutti coloro che praticano la medicina acquistino una particolare competenza in questo campo piuttosto che in altri; tuttavia i medici si trovano così costantemente in contatto con situazioni dipendenti da fattori psicologici e sessuali, che almeno nozioni generali di questi problemi sarebbero di indiscutibile valore per essi e per i loro pazienti. È proprio nel «prevenire» (come succede per altri campi) che si trovano le più grandi opportunità per un insegnamento e una conoscenza. Molto spesso nell'età della fainciul- lezza e dell'adolescenza una saggia parola di avviso sarebbe di inestimabile benefìcio per la futura felicità dell'individuo e potrebbe evitare la necessità di curafe più tardi una nevrosi.
È diffìcile discutere qui la vecchia questione agitata a proposito dell'influenza dei processi mentali sul fiunzio- namento del corpo, e della relazione di questa con i mali del corpo stesso. Comunque si può notare il fatto che quando la psicanalisi insiste sull'importanza dei vari istinti (come quello sessuale, dell'odio, e così via), rispetto alla determinazione della sofferenza, essa insiste su fattori che sono in relazione con la mente, e nello stesso tempo con il corpo. Gli istinti, essendo in rapporto con le tendenze innate nell'embrione cellulare, fanno certamente parte dei processi del corpo e ormai si conosce qualcosa intorno ai vari cambiamenti chimici e fisiologici che accompagnano la loro attività. È infatti chiaro che la psicoanalisi sta svolgendo qui un compito di considerevole interesse teorico creando un anello di congiunzione tra gli studi mentali e quelli del corpo. Da questo punto di vista, frasi come «la mente agisce sul corpo ed è causa delle sue malattie» cessa di essere così repellente ai ai nostri pregiudizi filosofici. L'evidenza riesce a dimostrare che un certo numero dei disturbi del corpo, compresi quelli che conducono a un cambiamento anatomico permanente, può essere dovuto a fattori che sono stati descritti precedentemente in termini di nevrosi o di conflitto mentale inconscio.
Bisogna poi esaminare un altro campo della medicina che occupa una posizione intermedia tra quello psicologico e quello fisico, ossia quello della pazzia. Certe forme di pazzia sono indubbiamente causate da malattie del corpo, per quanto anche qui i disturbi mentali non possono essere capiti interamente se non attraverso uno studio psicologico, al quale la psicoanalisi ha dato interessanti contributi. Un numero molto maggiore di casi di pazzia è, tuttavia, di origine sconosciuta e c'è naturalmente una grande disputa intorno all'importanza relativa ai fattori mentali e a quelli fisici nella loro causa. La più comune di queste forme è chiamata demenza precoce: la psicanalisi ha gettato molta luce sulla genesi della sua sintomatologia ed è stata capace di effettuare un considerevole miglioramento nei casi meno gravi, senza pretendere tuttavia di aver scoperto una cura radicale di questa affezione. I più brillanti successi della psicoanalisi si sono verificati tanto in casi di paranoia (o pazzia di delusione) che nella pazzia ciclica (o maniaco-depressiva) e nella follia (mania o malinconia). Riguardo a queste due, la psicoanalisi ha potuto formulare una teoria estensiva della loro genesi basata sulla scoperta estremamente dettagliata di un gran numero di casi ed ha potuto effettuare cure vere e proprie in alcuni casi particolari.
Capitolo II
L'EDUCAZIONE
La psicoanalisi applicata alla comprensione e all'allevamento dei bambini offre molte possibilità per il futuro, più che in ogni altro campo, sebbene ci siano molti pericoli lungo la strada. Alcuni pedagogisti, con più entusiasmo che reale conoscenza dell'argomento, hanno predicato e tentato la sua applicazione alla vita della scuola in un modo che nessun analista può ritenere giusto: rimane una gran quantità di lavoro ancora da fare prima che possiamo sentirci sicuri su questo terreno. Questa critica viene fatta non perchè questi apporti della psicoanalisi ai problemi dei fanciulli non siano importanti, ma al contrario, perchè è proprio a causa della loro importanza che occorre impostare questi problemi in modo esatto.
Nessun lavoro estensivo è stato fatto nella psicoanalisi riguardo all'educazione, specialmente per distinguere un diverso insegnamento dall'allevamento normale, sebbene possiamo vantare approfondite conoscenze sul campo che viene illustrato dal lavoro psicoanalitico individuale. Sceglieremo tre argomenti in merito, come fonti di illustrazione. In primo luogo, proprio l'atto dell'insegnare, dell'impartire la conoscenza è spesso eccessivamente ostacolato da parte del bambino, malgrado la sua sete naturale di sapere, perchè il bambino, consapevolmente o inconsapevolmente, considera l'insegnamento una forma di critica sgradevole. Il semplice fatto che appaia pacifica la precedente ignoranza del bambino e che, per rimediare a questa ignoranza, debba esser compiuto uno sforzo inconfessato allo scopo di « migliorare» quest'ultimo, è una precisa ferita all'amor proprio del piccolo che interessa, a volte, complessi ancora più oscuri. Se questo si verifica il fanciullo diventa un cattivo allievo, del tutto incurante di apprendere. I fanciulli sono profondamente sensibili a tutto ciò che assomigli a critiche morali e si può persino giungere ad affermare che quanto maggiore è il «sapore » morale impartito nell'educazione infantile tanto più grande è l'effetto inibitore sull'intelligenza futura del fanciullo. La ragione di questo risultato ci porta ad esaminare il secondo punto.
I bambini spesso sono legati agli insegnanti in «maniera inconscia» come precedentemente erano legati ai genitori. Questo non avviene soltanto per motivi superficiali di autorità o simili, ma è spesso causato da più profondi legami erotici, come sovente si può osservare nelle ragazze, in certi periodi della loro carriera scolastica. Un buon insegnamento dipende dai legami affettivi (sentimenti) che corrono tra il maestro e l'allievo. Sappiamo che ci sono molte repressioni e reazioni connesse con l'erotismo inconscio da cui derivano questi legami, così che la relazione risultante si presenta come una mescolanza di varie attitutini positive e negative. Nessuna teoria sull'educazione può essere completa se non considera questi dati fondamentali.
Il terzo punto riguarda la materia insegnata. Il modo con cui uno studio è assimilato presenta — come sappiamo — straordinarie variazioni da individuo a individuo e questo non soltanto nelle materie generali, come nel caso di un fanciullo bravo nello studio delle lingue e incapace nella matematica, ma anche nei dettagli di ciascuna materia. Queste variazioni, nell'apprendere, sono considerate qualità o deficienze intellettuali, ma la psicoanalisi può dimostrare che, nella maggioranza dei casi, si tratta di inibizioni affettive volte alla sublimazione, che dipendono dalla reazione del fanciullo alle associazioni inconscie della materia. Questo diviene evidente anche nei piccoli particolari, perchè si deve sempre ricordare che ogni parte dell'argomento cosciente è associato con idee inconscie, che può eventualmente simbolizzare. L'aritmetica, nell'insieme, può divenire «difficile», ossia impedita dall'inconscio, a causa di associazioni inconscie che possono ricordare — quando per esempio si conta sulle dita, — certi palpeggiamenti proibiti, ma persino errori nel calcolo possono essere considerati come curiose preferenze semicoscienti per certe figure e disinteresse per certe altre, a causa di ciò che queste figure possono simboleggiare. Accade costantemente durante una psicoanalisi che una facoltà, in cui il paziente riteneva di essere deficiente, viene semplicemente «liberata» dalle repressioni dominanti connesse inconsciamente con essa. Esperienze come queste rendono completamente scettici riguardo ai «testi» di intelligenza, oggi di moda, per la semplice ragione che quello che è esaminato mediante il «test» non è mai lo stesso con i diversi fanciulli. C'è qui un campo vergine di ricerca.
Sul vasto argomento dell'allevamento in generale ci sarebbe molto di più da dire che non sull'educazione vera e propria e noi dobbiamo tentare adesso di darne un piccolo estratto. Il punto più importante da notare è che il bambino, nel corso del suo sviluppo lotta, senza saperlo, contro conflitti di vitale importanza per il suo futuro. L'importanza di questa affermazione può essere ricavata dalla conclusione psicoanalitica la quale afferma che tutto il carattere umano è completamente formato, tanto per il bene quanto per il male, all'età di cinque anni, e che le influenze successive hanno soltanto effetti superficiali, o, tutt'al più possiedono la capacità di sistemare elementi già costituiti. Nei primi cinque anni di vita il bambino deve superare un complicato sviluppo emotivo che ha richiesto al genere umano 50.000 anni di elaborazione, e che rappresenta la civilizzazione dei suoi istinti primordiali. Bisogna rendersi conto di questo e avere perciò più tolleranza per le difficoltà del bambino e per la sua cattiva condotta. Con i bambini dobbiamo avere molta indulgenza; l'amore è necessario per lo sviluppo mentale del bambino come il cibo per lo sviluppo del corpo; dobbiamo ricordarci di questo anche quando bisogna allontanare gradatamente i bambini da certe manifestazioni di amore istintivo. Più gentilmente questo «divezzamento» necessario viene attuato, più spontaneamente la natura del bambino potrà formarsi da se stessa e meno nocivi saranno gli effetti posteriori conseguiti.
Più lo sviluppo del bambino avviene attraverso il suo interesse e la sua affezione, invece che attraverso un insegnamento morale, meno duri e inevitabili saranno i conflitti e le loro conseguenze. Molti fanciulli divengono « super-morali» anche senza nessun aiuto da parte dell'ambiente, per quanto le loro «richieste» a questo riguardo, tendano a divenire più ragionevoli via via che il periodo della «latenza» progredisce. In vari casi la malvagità deriva maggiormente da una lotta contro una coscienza troppo rigida piuttosto che da una deficienza morale.
Subito dopo l'amore e la pazienza, verrebbe fatto di porre l'onestà in ordine di importanza nell'educazione del bambino. Ma l'opinione corrente, la quale afferma che il genitore deve essere sempre un modello di perfezione per il bambino, a qualunque costo, è una presunzione che adula l'amor proprio dei genitori, più che giovare allo sviluppo del bambino, e la conseguenza, che questa perfezione può essere raggiunta soltanto con la soppressione di tutta la conoscenza dei più profondi interessi della vita, è certamente deleteria per i fanciulli. Senza sostenere le affermazioni esagerate asserite talvolta riguardo alla conoscenza del campo sessuale, come panacea nell'educazione del bambino, un analista è pronto ad avvertire i dannosi effetti dell'ostinata disonestà che ancora prevale in questo argomento. I bambini istintivamente conoscono molto di più riguardo a certe cose, sia coscientemente che incosciamente, di quello che vien supposto generalmente, e il reale effetto dell'« illuminazione» non è tanto l'impartire una nuova nozione quanto l'ammetterla chiaramente. Il beneficio di questa dipende, perciò, più dall'attitudine dei genitori che da quello che viene loro detto.
Sembra che tutti i fanciulli debbano passare attraverso uno stato di nevrosi. Noi non possiamo sapere se questo è inevitabile anche con un sistema più saggio di educazione. Neppure è possibile predire fino a che punto il fanciullo supererà lo stato nevrotico e quanto questo superamento peserà sul fanciullo riguardo a una futura inibizione o a una predisposizione ad una nevrosi da adulto. Per questo è stato fatto un tentativo per rendere il corso dello sviluppo umano più sicuro e meno penoso, analizzando i giovani fanciulli. La signora Melanie Klein, una allieva dei due più illustri cooperatori di Freud, i dottori Abraham e Ferenczi, ha sviluppato una speciale tecnica a questo riguardo. Per quanto si abbia per ora, una esperienza solo di pochi anni in questo campo di lavoro, i risultati già raggiunti sono molto promettenti e istruttivi, e il presente scrittore è convinto che nel futuro una importante parte dell'analisi terapeutica, forse la più importante, si troverà in questa sfera. È indispensabile, comunque, che tale analisi sia reale, e del tutto indipendente da ogni misura educativa.
Capitolo III
ANTROPOLOGIA
Ci sono due punti di contatto fra questo capitolo e il precedente. Il primo punto poggia sulla nuova versione dell'equazione spesso stabilita fra fanciullo e selvaggio, il secondo sull'interesse prevalentemente genetico dei due argomenti.
Quando la psicoanalisi rileva certe somiglianze fra la mentalità del fanciullo e quella del selvaggio, lo fa senza voler implicare (come invece accade frequentemente) un senso dispregiativo per quest'ultimo. La ragione di questo è che il lavoro psicoanalitico infonde un grande rispetto per la niente del bambino, maggiore di quello che generalmente è in uso, poiché dimostra che la mentalità infantile è molto più complessa e meno simile alla mente dell'adulto di quello che di solito si suppone. D'altra parte, la psicoanalisi stabilisce una distinzione, nettissima, tra i due tipi di pensiero, rappresentati nei loro limite estremo dal pensiero logico cosciente e dal pensiero inconscio associativo. La classificazione di questi due tipi non è in rapporto così stretto con l'età dell'individuo come si potrebbe immaginare, per quanto sia vero che, nell'insieme, l'una è più manifesta nell'adulto e l'altra nel bambino. Similmente, è innegabile che un tipo di pensiero «inconscio», qualche volta chiamato non molto propriamente pensiero pre-logico, è più facilmente ritrovabile fra i selvaggi che fra di noi, malgrado che i selvaggi possiedano forse facoltà logiche uguali alle nostre. Molti esempi interessanti del loro pensiero, delle loro superstizioni, credenze magiche, e così via, noi possiamo facilmente concepirle come determinate da emozioni piuttosto che dalla ragione e una strana intima connessione può essere stabilita tra queste emozioni e i fenomeni studiati dalla psicoanalisi, particolarmente nei fanciulli.
Sfortunatamente non è possibile qui illustrare l'interessante corrispondenza sopra menzionata tra la fantastica vita emotiva dei selvaggi e quella dei fanciulli, e dobbiamo limitarci a poche generalizzazioni che sono emerse dai molti studi particolari compiuti. Tali studi si sono dimostrati di molto interesse tanto per la psicoanalisi quanto per l'antropologia. Da una parte le investigazioni dettagliate dell'inconscio hanno messo in grado gli psicoanalisti di dare spiegazioni intorno a molti sconcertanti problemi di antropologia, come l'orrore dell'incesto, il matriarcato, il tabù, le cerimonie di iniziazione, il totemismo e così via, mentre, d'altra parte, il materiale e le connessioni ricavate dai dati antropologici, hanno riconfermato i dati della psicoanalisi, offrendo loro basi più ampie. Noi impariamo in questo modo che molte istituzioni elaborate, pratiche ritualistiche, costumi sociali, credenze e così via, sono prodotti complessi di sforzi compiuti per affrontare quegli stessi conflitti inconsci che agitano i nostri fanciulli e che producono quelle nevrosi le quali formano il principale soggetto del lavoro psicoanalitico. L'apporto di questa correlazione alla sociologia e antropologia comparata è di grande importanza, perchè nello studio della nevrosi individuale noi abbiamo l'opportunità di controllare le nostre conclusioni e di sottometterle ad una analisi acuta, irraggiungibile, in campi più estesi.
Freud ha tracciato un interessante parallelo tra la vita fantastica dei nevrotici e quella dei selvaggi e sulla base di questo particolare lavoro, sono state elucidate da altri investigatori, queste differenze così interessanti per una ricerca di comparazione, come è quella compiuta per appurare la corrispondenza menzionata sopra. I selvaggi, nel loro insieme, rassomigliano ai nostri nevrotici (in contrasto con l'uomo normale civilizzato) poiché la mente si è trasformata soltanto in maniera imperfetta nel corso dello sviluppo, e presentano così un inconscio non trasformato, ma solamente «camuffato».
In altre parole, tanto i selvaggi quanto i nevrotici sono molto vicini agli istinti primordiali e ai modi primitivi di pensiero e sono dominati, in gran parte, solo dal principio del piacere. L'affetto e l'amicizia sono impedite dalla vicinanza di tendenze opposte di odio e di ostilità; il loro atteggiamento nelle relazioni umane è più, come si dice, «ambivalente». Sono facilmente dominati dalla paura e dal senso di colpa che sono profondamente radicati nell'uomo e, di conseguenza sono molto più morali, per quanto spesso in un modo irrazionale.
Una particolarità che ci conduce al secondo dei due punti menzionati all'inizio, è che la vita nevrotica dei selvaggi è organizzata molto meno sistematicamente sulla base sociale di quello che accade fra i popoli civilizzati. Nei popoli civili, infatti, c'è stato un maggiore «appianamento» e «razionalizzazione» dei conflitti inconsci, così che le manifestazioni nevrotiche mostrate dai disturbi individuali, sono trattate come intrusioni arrecanti perturbazione a una società ordinata in altro modo.
Questa considerazione ci dà una guida utile per investigare lo sviluppo della civilizzazione. Senza voler affermare che i popoli civilizzati debbono essere successivamente passati attraverso gli stadi di uno sviluppo simile ai modi attuali di vita riscontrati nei selvaggi (che sarebbe un punto di vista molto grossolano e poco accurato), noi possiamo dire che, nel complesso, i selvaggi, insieme con i nevrotici e i fanciulli, offrono molte indicazioni dei primi stadi di sviluppo attraverso i quali, in un modo o nell'altro, tutto il genere umano deve essere passato. Proprio come il corpo che, specialmente negli stadi di sviluppo, mostra chiare tracce delle fasi precedenti dell'evoluzione del genere umano, così l'inconscio può essere considerato, in alcuni aspetti, come un deposito di passate esperienze compiute durante il primo sviluppo mentale del genere umano. L'attuale relazione dell'inconscio con il problema dell'ereditarietà è una questione molto discussa che non può essere considerata come risolta in nessun caso, per quanto Freud stesso sia propenso a credere alla diretta eredità dei processi mentali.
Comunque, è evidente che lo studio dell'inconscio può fornire dati che debbono venire esaminati insieme con altri se vogliamo raggiungere utili conclusioni sul passato remoto dell'uomo. In un importante studio sul totemismo (le cui tracce, fra parentesi, affiorano ancora fra i nostri nevrotici) che è stato ampliato da un lavoro, ancora più dettagliato, di un illustre antropologo, il dottor Roheim, Freud ha affermato che, probabilmente, questa istituzione così estesa è in gran parte una difesa elaborata contro il complesso di Edipo (incesto e omicido cannibali- stico del padre). Seguendo alcuni accenni di Darwin e Atkinson, Freud ha sviluppato il suo punto di vista secondo il quale questo complesso, che si concretizza nella lotta tra il «vecchio della tribù» e i maschi più giovani, ha giocato una parte vitale nella fondazione della vita sociale e, infine, nella vita civilizzata. Infatti, nella reazione di rimorso e paura che circonda il fatto, Freud vede il principio di tutte le leggi, moralità, e religioni. Questo è il punto di arrivo della ricerca che Freud iniziò soltanto per il trattamento delle sofferenze isteriche.
Una nuova scuola di antropologisti, i «diffusionisti», che conferisce una grande importanza alla cultura irradiata da un centro limitato, hanno ïa curiosa illusione che i loro punti di vista siano incompatibili con le conclusioni della psicoanalisi per il fatto che quest'ultima mette in luce le somiglianze del genere umano. In realtà, tale incompatibilità non esiste poiché il lavoro dei «diffusionisti » riguarda uno stadio superficiale della mente mentre, invece, quello analitico riguarda i livelli più profondi e primordiali, insieme agli istinti e alle reazioni biologiche che di certo hanno molti punti in comune fra tutti i popoli.
Capitolo IV
SOCIOLOGIA E POLITICA
Vi sono istituzioni sociali e leggi che riguardano, particolarmente, il benessere materiale della collettività come l'economia, l'igiene ecc. e, in misura forse maggiore, ve ne sono altre che riguardano i valori ideali, come il prestigio, l'onore, il patriottismo, i conflitti di classe e di sesso, le teorie di governo, le idee di giustizia, i regolamenti etici ecc. È evidente che i fattori soggettivi entrano nel secondo gruppo ancora maggiormente che nel primo, sebbene non manchino mai in nessun evento. Può essere detto giustamente che la psicoanalisi sarebbe capace di gettare luce su tutte le istituzioni umane, materiali e ideali, riportando ai fattori inconsci l'influenza del giudizio. Secondo la psicoanalisi la maggior parte dell'energia umana diretta verso questi vari interessi, deriva dalle tendenze primarie dell'inconscio, sia mediante la forma della sublimazione, che trasporta l'energia verso questi interessi, sia mediante forme di complicate istituzioni, specialmente morali e religiose, il cui ultimo scopo è di tenere in scacco le tendenze primordiali. L'analisi del reale significato dei processi in questione offre un'ottima opportunità per giudicare liberamente e oggettivamente questi problemi.
Il soggetto della salute, per esempio, è circondato da superstizioni senza fine, da paure e da tabù, che non sono affatto limitate alla gente comune. Perfino nel campo più materialistico, quello dell'economia, la psicoanalisi ha mostrato che è difficile per ciascun uomo di pensare liberamente e di comportarsi «normalmente» quando si parla di denaro. Una delle più sorprendenti scoperte della psicoanalisi è stata quella che afferma come l'idea del denaro spesso rappresenti simbolicamente ciò che vi è di corporalmente sporco nell'inconscio, e che le complicate reazioni derivate da quest'ultima idea influenzino costantemente i giudizi coscienti sui casi che riguardano il denaro. Per citare solo un esempio, fu possibile, per uno psicoanalista di pubblicare una «predizione» all'inizio della prima guerra mondiale, affermante che, nel dopoguerra, la Gran Bretagna avrebbe molto sofferto di disoccupazione, a causa del desiderio troppo frettoloso di tornare alla parità aurea, conclusione questa che perfino i finanzieri più ortodossi rifiutano di ammettere.
La libera associazione delle idee ci porta al soggetto della guerra stessa, cioè ad uno dei più gravi problemi sociologici. Qui le ricerche psicoanalitiche hanno dimostrato la complessità dei fattori e l'impossibilità di tener loro testa radicalmente a meno che le radici inconscie di questi problemi siano completamente esaminate e comprese. Paragonata ad uno studio esauriente di questa specie, la vaga propaganda attuale fatta a base di esortazioni a «denunciare» la guerra non è che un pietoso brancolamento a vuoto che riesce a far presa su ben pochi pensatori seri.
D'altra parte, le teorie politiche, che dividono oggi il mondo in maniera così radicale, sono problemi che dipendono intimamente dalle relazioni tra il bambino e genitori; le relazioni fra governati e governanti ne rappresentano un ingrandimento. Per dare una spiegazione evidente di questi fenomeni basta osservare il prodigioso interesse della popolazione, per i fatti più banali riguardanti i membri della famiglia reale britannica. Questo interesse, salvo poche eccezioni, deriva da una identificazione inconscia tra i membri della famiglia reale e quelli della famiglia individuale di ciascun cittadino: l'una è semplicemente la glorificazione dell'altra, secondo la linea di sviluppo delle fiabe e delle fantasie infantili. Il re è uno dei più tipici simboli inconsci del padre, la regina della madre e così via. In Inghilterra noi abbiamo una situazione piuttosto fortunata poiché l'attitudine ambivalente verso il padre è risolta dividendo il potere pubblico rappresentativo in due persone. Il capo del potere esecutivo, il primo ministro, cede periodicamente il potere, ma il rispetto dovuto al padre rimane costante poiché è riservato a un'altra persona. Le assurde richieste fatte al governo perchè questo risolva tutti i problemi e ci liberi da tutte le pene, e le corrispondenti manifestazioni di amarezza e disappunto, sono un prolungarsi della credenza infantile del padre onnipotente. Il problema del potere e dei suoi limiti, necessari, questi ultimi, per conservare la libertà dei cittadini, sono, in ultima analisi, problemi di psicologia individuale.
Poiché la psicoanalisi ha potuto mettere in luce la complessità degli istinti sessuali, più che di ogni altro istinto, non sarà sorprendente l'apprendere che la psicoanalisi è in grado di dare contributi molto importanti alla soluzione dei problemi sociali che sono in rapporto con l'istinto sessuale.
L'esigenza comune, rivolta a mettere in chiaro tutti i dettagli che riguardano questioni matrimoniali, problemi del divorzio, controllo delle nascite, eugenetica, complicazioni e infelicità senza fine sorgenti dai conflitti fra i due sessi, è un risultato diretto di conflitti insoluti che circondano il primo sviluppo dell'istinto sessuale, poiché le reazioni sorgenti da questi conflitti sono il fondamento di tutte le attitudini posteriori.
Oggi vediamo molti segni di rivolta contro l'istituzione della famiglia, contrariamente al comune enunciato sociologico che afferma come la famiglia sia la base della società. Quanto c'è di vero in questo enunciato, e fino a che punto può accordarsi con le umane possibilità tendenti a modificare l'istituzione, così da preservare le parti utili e rifiutare quelle dannose? Si può sicuramente dire che nessuna risposta adeguata a quesiti così fondamentali potrà essere emessa senza l'aiuto che la psicoanalisi è in grado di offrire.
Capitolo V
LEGGE E CRIMINOLOGIA
L'argomento che più ci interessa qui è quello della responsabilità morale. La controversia fra medici e avvocati sulla responsabilità del criminale è ormai vecchia. I medici, di solito, hanno la peggio nella disputa perchè devono accettare senza obbiezioni le premesse degli avvocati e tentano invano di definire una finzione legale in termini di realtà. Sull'assunto che stati mentali e impulsi di un genere particolare sono causati soltanto da «malattie» o da «peccati» (concezioni entrambe ugualmente vaghe in questo caso) viene richiesto ai medici di fare una bella distinzione fra le due ed essi naturalmente rispondono con molta difficoltà. La teoria sottintesa sembra portare alla conclusione che la legge riconosce alcuni atti come causati da malattie, ma non altri. Questi ultimi sono considerati come prodotti della libera volontà, la quale è perfettamente capace di creare il primo legame di un rapporto di pensiero e azione. Accettando una distinzione particolare e arbitraria tra salute mentale e salute del corpo, i medici vanno al di là degli enunciati della loro dottrina, ma accettando il punto di vista legale del libero arbitrio, abbandonano l'unico canone fondamentale di tutta la loro scienza.
La psicoanalisi può dare un largo contributo positivo in questo campo, a parte le critiche già enunciate, perchè la psicoanalisi deve la sua esistenza a una completa applicazione del determinismo scientifico. L'irrazionalità della condotta della maggior parte dei criminali, farebbe sospettare da sola la presenza di fattori nascosti negli strati profondi della personalità e vi è infatti una diretta ed evidente conseguenza che ci permette di giungere alle stesse conclusioni.
Gli studi che sono stati fatti, particolarmente all'estero, su delinquenti abituali hanno mostrato la complessità dei problemi dovuti a una tangibile deformazione del carattere, che può venir osservata molto spesso. L'asserzione può essere più semplicemente dimostrata prendendo un caso di cleptomania dove l'irrazionalità del motivo è spesso fuori dubbio, come nel caso di una persona ricca che getta via il gomitolo di cotone rubato. La psicoanalisi può dimostrare che, in tali casi, l'impulso deve la sua forza incontrollabile all'imperiosa necessità di calmare una situazione penosa, del tutto inconscia. L'azione è dettata dal bisogno di alleviare la tensione determinata da un conflitto di un impulso represso, che simbolizza il delitto e l'intollerabile senso di colpa che si accompagna a questo. Infatti si può osservare frequentemente che l'impulso a commettere un crimine anche grave, può alleggerire il senso di colpa nascente da un inconscio desiderio di commettere un delitto ancora più grave. Questa è una delle molte scoperte inaspettate della psicoanalisi in questo campo.
Il fatto che gli psicoanalisti adottino di necessità, una attitudine deterministica verso le questioni di responsabilità morale, ha indotto alcuni critici superficiali ad attribuire loro un totale ripudio della punizione, affermazione, quest'ultima, che nessun analista ha mai espresso. L'intera questione della punizione, sia in questo campo, sia in quello dell'educazione rientra nel bisogno dell'investigazione psicologica, la quale rappresenta tutto ciò che un analista può ricercare.
È chiaro, in ogni caso, che nel presente sistema di punizione legale, i motivi preventivi e riformatori, comunemente escogitati, spesso rappresentano il più profondo motivo della «retribuzione». Se quest'ultimo movente fosse il principale ci sarebbe da fare una seria ricerca scientifica sull'efficacia preventiva delle varie forme di punizione. Lo stesso avverrà con il secondo motivo addotto: fino a quando il problema sarà esaminato da un punto di vista morale e non psicologico, l'attitudine moralistica del legislatore o dell'amministratore della giustizia maschererà i veri motivi psicologici. La psicoanalisi può rivelare, ad esempio, la natura del timore che è nascosto sotto la tendenza alla vendetta il quale deriva molto di più dalla paura che gli uomini hanno delle loro tendenze immorali inconscie, che non dal timore dei criminali. L'intolleranza per i misfatti altrui è un segno rivelatore di una coscienza mal sicura, è un segno dello sforzo che costa il sopprimere le tendenze inconscie proibite.
L'indignazione mostrata dalla maggior parte delle persone per ogni allarmante contatto tra la legge e la psicologia (per non parlare poi di certe parole come psicoanalisi e inconscio) è infatti, ben fondata, perchè ogni tentativo di investigare e capire i problemi della natura umana porterebbero probabilmente a una rivoluzione profonda nel metodo e nelle disposizioni di legge oggi in uso.
Capitolo VI
ARTE E LETTERATURA
Questo argomento presenta uno speciale interesse per gli psicoanalisti a causa dell'opinione diffusa che l'estetica e la psicoanalisi siano, in certo senso, incompatibili l'una con l'altra. Non vi è alcun paziente, dotato di sensibilità estetica, che non esprima la paura, spesso addirittura morbosa, che questa sua capacità venga distrutta nel corso della procedura analitica.
La psicoanalisi si è interessata molto di più della psicologia dell'artista che non dell'arte stessa, sebbene sia impossibile separare i due problemi. La prima difficoltà si trova nel fatto che molte cose del tutto disparate, passano sotto il nome di arte. È chiaro, per esempio, che il gusto eccessivo della ricerca del bello è tipico di una natura puramente decorativa, poiché questo gusto, in ul- tima analisi, deriva dagli stessi impulsi esibizionistici che sono nascosti sotto l'eleganza personale. Così il gusto di riprodurre l'oggetto, il più fedelmente possibile, ha più relazione con l'istinto di imitazione, che con un vero senso estetico, per quanto, senza dubbio, le capacità pratiche acquistate durante l'esercitazione di questo istinto, siano necessarie alla tecnica dell'artista. Il sentimento estetico non può essere completamente identificato col senso della bellezza poiché è evidente che in alcuni casi lo trascende. Oggi si afferma quasi universalmente che l'essenza dell'arte risiede in una contemplazione impersonale e piacevole, di varie relazioni formali, come contorni visivi, colori, suoni o idee.
Avvicinandosi al soggetto da un punto di vista psicologico, la prima cosa che si osserva è un ripudio energico della possibilità che un vero sentimento estetico abbia a che vedere con elementi non formali. I puristi ortodossi affermano persino che qualsiasi contenuto che possa trovarsi nell'arte è semplicemente una concessione alle debolezze del pubblico, o peggio, un espediente fatto allo scopo di produrre interesse per le qualità estetiche del lavoro. Come ogni forma di propaganda e ogni proposito morale sono considerati inquinamenti nelle commedie o nei romanzi, così tutti gli elementi contenutistici vengono considerati un'offesa alla purezza dell'arte in una pittura o in una sinfonia. Il sentimento estetico deve essere tenuto incontaminato da ogni soggetto mondano, quale potrebbe essere il desiderio di esprimere i cosiddetti sentimenti umani. L'arte trova la sua ragion d'essere in se stessa senza alcun rapporto con i vari istinti biologici.
Secondo la psicoanalisi questa attitudine degli artisti è giusta, ma le conclusioni sono errate. Una analisi dettagliata degli artisti mostra che le capacità estetiche di un impulso artistico procedono da strati particolarmente profondi dell'inconscio (infatti, il significato stesso dell'ispirazione significa appunto questo) e che rappresentano un particolare modo di affrontare i conflitti primordiali esistenti in questi strati. Lo sforzo inconscio dell'artista è di indirizzare in una particolare direzione le emozioni che sorgono da questi conflitti e di esprimerle in una pura forma estetica. In questo processo ci sono alcuni speciali lineamenti che in larga misura sono tipici della mentalità dell'artista.
L'impulso artistico è lungi dall'appagare soltanto una particolare forma di piacere; ma serve anche a placare una pena: I versi di Keats:
«Ed essi saranno chiamati divini poeti
essi che semplicemente diranno le cose più tenere al
[cuore»
non volevano certo intendere sentimenti amabili. È in parte il dono dell'artista di essere capace di trasformare temi repellenti o desolanti in una forma piacevole, come si può notare specialmente nella tragedia, su cui Aristotele fondò la sua famosa teoria della catarsi. Sembrerebbe che gran parte del sollievo provato, sia dall'artista che dallo spettatore, abbia a che fare con la convinzione dell' inevitabilità. Questa tesi, così evidente nella tragedia, può essere estesa a tutte le forme d'arte. L'attributo di certezza, e magari di perfezione, con la giustezza delle relazioni formali, che evoca il sentimento estetico, contribuisce a dare un senso raffinato di sicurezza a certe persone. La natura intima di questa sicurezza e la ragione per cui è richiesta, rappresentano un problema a cui solo lo studio dell'inconscio può dare risposta. Noi troviamo qui un'altro aspetto delle questioni sopra esaminate e cioè un tentativo di assopimento della tensione inconscia.
È nella letteratura che l'intero problema diviene più accessibile all'avvicinamento psicologico. Nessuno potrebbe affermare che elementi formali indispensabili alla poesia come il metro, parole sonanti e, soprattutto, il ritmo, possano costituire da soli l'intera essenza poetica. Nella poesia ci devono essere anche le idee, e gran parte del piacere estetico deriva dal come queste idee sono svolte e presentate. Ma queste idee non esistono da sole: esse sono, a loro volta, le rappresentazioni di idee inconscie accessibili alla psicoanalisi. Molti studi approfonditi su poeti particolari sono stati fatti in questo senso e il risultato di questi studi ha portato a conclusioni indubbie intorno al principale problema, se cioè l'impulso artistico è qualche cosa di staccato dal resto della vita o se è semplicemente un prodotto altamente sele-v zionato dagli stessi conflitti inconsci che si manifestano in varii modi. Per citare un esempio solo, Otto Rank, nella sua dettagliata monografia su questo argomento, ha potuto dimostrare che i temi nella grande letteratura, proprio come quelli delle fiabe, dei giochi, degli scherzi, e di molti altri prodotti dell'immaginazione, sono innumerevoli varianti di pochi motivi fondamentali. Tra questi, i diversi aspetti dell'incesto e i derivati del complesso di Edipo, occupano una posizione preminente.
Capitolo VII
MITOLOGIA, LEGGENDE, FOLKLORE E SUPERSTIZIONE
Moltissime ricerche psicoanalitiche sono state già pubblicate su questo affascinante argomento. Come si è già detto per l'antropologia, anche i problemi di queste materie, oscuri prima dell'indagine psicoanalitica, possono essere risolti uno dopo l'altro una volta che si è trovata la chiave dei motivi inconsci, e, d'altra parte, lo studio del materiale, che deriva da diverse fonti sotto un aspetto oggettivo e impersonale, risulta probante ed istruttivo. Ad esempio, molti casi tipici di simbolismo, dei quali è diffìcile capire la genesi nello studio degli individui singoli, divengono comprensibili quando sono visti nell'insieme generale della mitologia e del folklore. L'intero gruppo dei fenomeni, compreso sotto il titolo di questo capitolo è prodotto dalla fantasia umana la cui investigazione rappresenta uno dei principali compiti dell'indagine psicoanalitica. Ad esempio, la parte giocata nella mitologia dalla curiosità intellettuale per l'astronomia, fu supervalutata alcuni anni fa, mentre adesso è ampiamente riconosciuto che la mitologia ha a che fare con emozioni riguardanti interessi molto più umani.
La psicoanalisi dei miti dimostra chiaramente che essi rappresentano, in forma camuffata, desideri primitivi e paure primordiali dell'umanità. Il meccanismo di questa trasformazione e i suoi moventi sono molto simili a quelli dei sogni e, infatti, molti mitologi, già prima di Freud, avevano notato la considerevole rassomiglianza fra i sogni e i miti. Le energie che non potevano essere trasferite in un compito o in un interesse reale della vita erano espresse nell'appagamento del mito e, più apertamente, nell'appagamento delle leggende. Le religioni più elevate si emanciparono da questa prima natura mitologica sia nelle loro disposizioni intorno ai problemi della vita pratica sia per le loro conquiste più squisitamente etiche.
In certi miti di natura tipicamente religiosa, come in quelli Egiziani e Greci, la natura familiare del loro contenuto è manifesta, e il carattere repulsivo di questi miti è in strano contrasto, non solo con i nostri ideali familiari, ma, con tutta probabilità, anche con gli ideali di quegli stessi popoli che credevano a quei miti. Non è esagerato affermare che i principali temi di questi miti sono quelli dell'incesto e della castrazione; ma ogni varietà di delitto e di sessualità, che può sorgere in seno alla famiglia, vi è rappresentata. Questi temi sono proprio quelli caratteristici della vita infantile, che persistono nell'inconscio dell'adulto, dal quale emergono molto raramente alla superficie. Oggi questi stessi temi sarebbero espressi non in una credenza mitica, ma in una nevrosi. I personaggi dei miti sono così i «gloriosi» rappresentanti dei membri della famiglia di ognuno.
Nei miti che a poco a poco si trasformano in leggende c'è poi un travestimento ancora più esteso di questa stessa materia. Per esempio, il motivo, tipico, della «sostituzione», è identico a quello che spesso ritroviamo nell'analisi della vita infantile dei primi anni. Il bambino esprime la sua insoddisfazione nei riguardi dei genitori ripudiando le sue relazioni con il padre o con la madre o con tutti e due, immaginando di essere di nascita più elevata, e di avere genitori più cortesi e idealizzati, intrecciando varie storie fantastiche nelle quali i suoi desideri inibiti giungono a piena soddisfazione. Questo fa parte di quello che Freud ha chiamato «romanzo familiare» dei bambini e che rappresenta una parte importante nella loro vita fantastica. Noi ci siamo imbattuti in un'altra indicazione di questa fantasia nel capitolo IV, riguardo alla famiglia reale. Si ricorderà che questo era uno dei tratti caratteristici della leggenda dalla quale è stato preso in prestito il termine «complesso di Edipo». In breve, l'appagamento dei desideri inconsci fornisce la principale forza creativa nella formazione dei miti e delle leggende.
Sono note le più semplici superstizioni in cui atti particolari come il versare ii sale e lo scivolare da una scala, sono considerati come segno di sfortuna. Noi abbiamo detto «considerati» perchè sono superstizioni convenzionali in cui non si crede realmente. Quando si ha la sensazione che forse «ci può essere qualcosa » di vero, è certo che una connessione associativa si è formata nella mente della persona tra l'atto e alcune idee inconscie. L'idea inconscia in questione è quasi sempre la stessa fra i diversi popoli, poiché la connessione appartiene al gruppo dei simboli universali tipici. Alcuni di questi atti sono variamente fortunati, altri sfortunati; più frequentemente gli stessi atti portano fortuna o sfortuna, secondo l'epoca, il paese o le circostanze.
In ambo i casi, il punto importante è che quell'atto particolare è considerato come carico di un misterioso significato. La spiegazione psicoanalitica chiarisce che l'atto dell'inconscio, che è simboleggiato da quello cosciente, è un atto di piacere proibito: la Sfortuna è, nell'inconscio, la punizione per quel piacere, la Fortuna il godimento del piacere senza punizione. La punizione può essere qualche volta evitata da atti propiziatori e rassicuranti come il «toccare ferro», cosa, quest'ultima, naturalmente simbolica. Questi atti preventivi secondari costituiscono il principale contenuto di alcune superstizioni, come il «malocchio» fra gli europei del Sud.
In una forma più elaborata di superstizione l'idea della sfortuna diventa meno vaga, per quanto spesso non così esattamente specificata. Per lo più si riferisce a perdite di denaro o a malattie. Dettagliate analisi sono state pubblicate su questi argomenti, cioè su le prime credenze nella stregoneria, su i lupi mannari e simili. Vi è uno stretto rapporto tra le attitudini mentali di questa specie (che noi adesso riconosciamo come morbose) e numerose opinioni comuni quali il credere che le correnti siano dannose alla salute, che i tonici siano buoni per la cura dei nervi e così via, per quanto la natura superstiziosa di queste ultime non sia stata ancora riconosciuta. Quante delle nostre opinioni sono influenzate dal meccanismo dell'appagamento inconscio dei nostri desideri (noi tutti sappiamo che il desiderio è il padre del pensiero cosciente, ma la varietà dell'inconscio è incomparabilmente più grande) o, in altre parole, quale parte giuoca l'illusione sul nostro giudizio circa la realtà? Queste sono domande che ci aprono un problema di evidente importanza pratica.
Capitolo VIII.
RELIGIONE
Le considerazioni del precedente capitolo ci portano inevitabilmente all'argomento più delicato fra tutti, quello cioè della fede religiosa. In generale, la psicoanalisi, essendo un ramo della scienza, deve, insieme con tutto il pensiero scientifico, sforzarsi di distinguere fra le credenze basate su una evidenza verificabile e quelle indipendenti da tale evidenza o addirittura in contraddizione con questa. Ma ha in più due speciali chiarificazioni da fare sul tema della teologia, una di natura psicologica ed una specifica.
La psicoanalisi, in primo luogo, può dimostrare come operazioni apparentemente razionali possono essere influenzate dai processi inconsci, specialmente quando concernono argomenti di grande interesse personale. Una volta che i processi mentali di questo genere sono costruiti, il risultato che ne deriva può avere una apparenza filosofica, spirituale e intellettuale che si imporrà come un tutto unitario. Le conclusioni raggiunte in questo modo, possono e non possono coincidere con la verità esterna, ma la loro interna coerenza non è, in se stessa, una garanzia per quello che esse vogliono realmente.
La seconda chiarificazione psicoanalitica consiste in una dettagliata applicazione di questo principio. L'argomento delle fedi religiose riunisce in sè le ricerche di molte analisi individuali attraverso le quali si può oggi conoscere molte cose, intorno alla loro genesi ed ai correlativi inconsci. Inoltre, molte analisi esaurienti sono state compiute intorno al significato psicologico delle varie credenze religiose per mezzo del materiale teologico e antropologico esaminato analiticamente. Daremo adesso un breve cenno di alcune delle più importanti conclusioni raggiunte in questo campo.
L'affermazione teologica che Dio è nostro padre appare pienamente giustificata, in senso psicologico. Tanto l'ateismo militante quanto la fede devota in Dio possono essere entrambe ricondotte alle prime reazioni del fanciullo verso il suo padre terreno (o all'idea di un padre quando quello reale non c'è). Gli attributi dell'onnipotenza, omniscenza e perfezione morale sono invariabilmente ascritti al padre in uno stadio o nell'altro, durante lo sviluppo del bambino; essi derivano egualmente da necessità interne, come dall'esempio esterno o da altre influenze. Le varie repressioni che si osservano nei confronti dell'idea del padre, insieme alle sue ovvie mancanze (quando viene giudicato in modo così assoluto), portano agli attributi di perfezione che venendo sottratti al padre, sono invece incorporati in una figura intangibile. Questo, in poche parole, è forse il fondamento delle molte conoscenze che noi possediamo riguardo al complicato sviluppo dell'idea di Dio.
I sistemi religiosi di tutto il mondo hanno sempre finito per culminare nell'adorazione di una Trinità che di solito consiste nella figura primordiale del padre, della madre e del figlio. Si può dimostrare, in particolare, che le varie credenze e leggende legate a queste figure sono completamente collegate ai conflitti inconsci relativi ai membri della famiglia umana individuale. Nel cristianesimo, la figura della madre è stata in parte sostituita da quella dello Spirito Santo, ma il cambiamento è stato effettuato secondo motivi che sono accessibili all'investigazione analitica.
Tutte le religioni si fondano sull'idea del peccato, ossia sul senso della colpa che deriva dal mancato raggiungimento di un modello di vita prescritto. Senza questa idea, la religione perde tutto il suo significato. L'essenza del peccato può essere espressa in termini di disobbedienza al padre (o perfino di ribellione contro di lui), o altrimenti nella profanazione della madre (con i suoi attributi o sostituti). La disubbidienza al padre e la profanazione della madre sono i due componenti del complesso edipico primitivo della fanciullezza; incidentalmente, il tipo mentale protestante e il tipo cattolico corrispondono coi componenti su cui cade l'accento1). L'argomento della colpa deve essere investigato dalla psicoanalisi in particolari dettagli, poiché giuoca una parte molto importante in ogni analisi individuale; i problemi della nevrosi, per esempio, sono inseparabili da quelli della colpa. Una distinzione può essere tracciata tra il senso di colpa infantile, e quello invece normale dell'adulto, nella cui coscienza sono stati assorbiti i nostri modelli morali ed etici; si può parlare allora anche di una coscienza estetica e scientifica. Questa normale coscienza è l'erede diretta del conflitto edipico della fanciullezza. D'altra parte accade comunemente che gli errori nel primo sviluppo possono impedire che accada una evoluzione normale. Allora un eccessivo senso di colpa resta nell'inconscio che rimane infantile e irrazionale nelle sue manifestazioni, e che spesso porta a conseguenze morbose. La precisa relazione del peccato religioso con queste due forme di colpa è una questione troppo delicata per una risposta che voglia essere data in poche parole. Si può soltanto dire qui che l'alto senso di valore spirituale che è unito al sentimento religioso e alle varie fedi deve molto della sua importanza al fatto che queste soddisfano le più profonde aspirazioni della mente umana e allo stesso tempo rappresentano un appagamento della tensione morale inconscia. Non è perciò sorprendente che per molte persone vengano a rappresentare la cosa più preziosa della vita.
L'altro elemento importante delle credenze religiose, ossia la sopravvivenza in un'altra vita, mostra i lineamenti di un desiderio appagato, ancora più chiaramente. La salvezza annunzia una gioiosa riunione coi genitori contro i quali erano diretti i pensieri inconsci peccaminosi. Il paradiso è la ricompensa di una espiazione. Tutte le insoddisfazioni, privazioni e ingiustizie della vita troveranno il loro dovuto compenso. Si può inoltre affermare che il simbolismo del paradiso contiene allusioni senza fine di una identificazione inconscia di questa ricompensa con l'idea di un ritorno ad una felicità già goduta (di qui pure l'idea della caduta), «nell'imperiale palazzo di dove noi venimmo».
Per riassumere, le credenze religiose, sia quelle selvagge e mitologiche che quelle cristiane, possono o non possono essere vere — la loro natura non può dare una prova nè a loro favore nè contro — ma è molto probabile che esse si sarebbero manifestate nella loro identica forma sia che esse fossero vere, sia che non lo fossero: la loro genesi di questo può essere adeguatamente ritrovata senza invocare nessun intervento esterno (soprannaturale). Se volessimo applicare le concezioni psicoanalitiche un po' fantasiosamente, si potrebbe dire che le credenze mitologiche rappresentano, sul piano dell'organizzazione sociale, lo stadio nevrotico della fanciullezza del genere umano, mentre molte delle credenze religiose rappresentano le nevrosi dell'adolescenza. Ma noi non dobbiamo dimenticare che la nevrosi è una espressione di quelle stesse forze e conflitti che hanno condotto alle più alte aspirazioni e alle più profonde scoperte della nostra razza, e che i nevrotici sono spesso i portatori delle fiaccole della civiltà. Essi possono logorarsi nello sforzo ma senza quello sforzo la civiltà non esisterebbe.
CONCLUSIONE
Sarebbe stato facile presentare i principi delia psicoanalisi in modo così generico da evitare l'impressione allarmante che molte affermazioni concrete di questo libro possono invece suscitare. Decidendosi per un'esposizione senza veli, l'autore non si è trattenuto dal presentare, in maniera spoglia ed inelegante, conclusioni che possono apparire molto crude. Egli ha pubblicato altrove, studi dettagliati su tutti gli argomenti di cui si tratta in questo volume e a questi studi può riferirsi il lettore. Questo volume è stato scritto perchè troppi equivoci dominano il soggetto della psicoanalisi e l'autore non voleva lasciare in dubbio i lettori sulla vera essenza della scienza psicoanalitica. Il lettore, naturalmente, non può dare un giudizio definitivo sull'argomento con l'aiuto esclusivo di questo volume, ma, per lo meno, è stato informato su tutti gli argomenti trattati dalla psicoanalisi.
L'essenza della scoperta di Freud consiste nella esplorazione dell'inconscio, cioè in un concetto che prima del suo lavoro era un termine senza senso. All'inconscio, è unito il meccanismo della repressione e il significato della sessualità infantile. Da queste osservazioni deriva che l'ulteriore carattere del fanciullo, i suoi futuri interessi, la sua felicità e in senso largo, le sue capacità, sono tutte dipendenti dalle sue prime reazioni negli intimi rapporti familiari. Dalla maniera nella quale il bambino tenta di risolvere i suoi conflitti inconsci in questo campo, dipenderanno i più importanti elementi della sua vita futura. La psicoanalisi è perciò essenzialmente una psicologia genetica che traccia poi l'evoluzione dei nostri istinti primordiali fino alle forme elaborate delle nostre attività coscienti. Darwin stabilì la continuità tra il corpo e il resto della vita terrena: Freud ha fatto lo stesso per la mente umana.
La più importante conclusione alla quale dobbiamo arrivare è che le scoperte psicoanalitiche se sono vere, sono di una importanza fondamentale; quello che è certo è che queste scoperte non possono essere vere «soltanto per metà». È naturalmente più facile sostenere la prima delle due possibilità cioè (che queste scoperte siano errate) perchè questa scelta ci risparmia pensieri molto penosi. Ma la grande evidenza ormai accumulatasi, tratta dai più diversi campi, e accresciutasi per una quotidiana esperienza, rende sempre più difficile il mantenere certe confortanti soluzioni a meno che non si voglia negare l'evidenza lampante dei fatti.
La prospettiva dell'uomo del passato e dell'uomo di oggi, considerato alla luce della conoscenza psicoanalitica, ci conferma ciò che fu affermato dagli studi biologici e cioè che l'uomo si trova ancora nel primo stadio del suo sviluppo. Il nuovo organo che l'uomo ha acquistato della consapevolezza o meglio della conoscenza di se stesso, lo ha portato lontano, ma noi già cominciamo a percepirne le possibili limitazioni. La psicoanalisi insegna che queste limitazioni sono imposte dalla natura dell'inconscio e dalle relazioni di quest'ultimo con la coscienza. Il modo indubbiamente imperfetto con cui l'uomo ha finora trattato i conflitti fondamentali e le disarmonie dell'inconscio, da cui emana tutta l'energia mentale, lo intralcia gravemente, di modo che soltanto una decima parte delle sue possibilità è a sua disposizione.
È comunemente previsto che il progresso delle scienze fisiche, continuando nel ritmo attuale, ridurrà presto il genere umano in una posizione di «bambini che giocano con i rasoi». In ogni modo è certo che il potere dell'uomo sulla materia, anche se applicato in modo approssimativo come ai giorni nostri, ha molto diminuito il controllo degli uomini su se stessi.
Il futuro dimostrerà perfettamente che, se l'uomo potrà acquistare un tale controllo su se stesso da potersi servire dell'inconscio come oggi si serve della coscienza, si aprirà una nuova èra non paragonabile per importanza che a quella in cui l'uomo divenne consapevole di se stesso. La méta della psicoanalisi è soltanto quella di rendere questo possibile.
APPENDICE
Per quanto sia passato del tempo da quando questo libro fu stampato per la prima volta, nel rileggerlo trovo che poco deve essere cambiato. Naturalmente allora molte cose avrebbero potuto essere aggiunte a quello che, dopo tutto, era soltanto uno schema degli elementi della psicoanalisi, e molto di più ci sarebbe da aggiungere adesso. Ma voglio limitarmi a indicare i moderni problemi e indirizzi della ricerca psicologica con riferimento al vecchio contrasto tra fattori «innati» e «ambientali» riguardo alla formazione del carattere e della personalità. Freud aveva interposto tra i due un terzo fattore immediato: l'intima fantasia del fanciullo, prodotto a sua volta di influenze innate e di precoci influenze ambientali. Gli studiosi di psicologia sono sempre stati incerti se accentuare il significato dovuto ai fattori interni o quelli dei fattori esterni. Oggi, nella ricerca psicologica, alcuni accentuano l'influenza dei primi, altri dei secondi.
Le ricerche sui fattori interni, che servono ad approfondire la nostra conoscenza della prima vita fantastica del fanciullo sono state, per lo più, svolte dagli psicoanalisti di Londra, tra i quali emerge Melanie Klein. Avendo elaborato una speciale tecnica per psicoanalizzare i bambini, la signora Klein insieme ad un gruppo di studiosi, fra cui Paola Heiraann, Susan Isaacs, Joan Riviere, le dottoresse Scrott e Winnicott, riuscirono ad illuminare la intima vita dei fanciulli molto più completamente di quello che era stato possibile prima. Le conclusioni a cui sono giunto hanno suscitato una fortissima critica anche a Londra e senza dubbio in futuro ne susciteranno di più altrove. Questa critica ci concentra soprattutto nell'asserzione che i processi mentali, inclusa la formazione del complesso edipico e del super-Io, hanno luogo in un'età ancora precedente a quella supposta da Freud ossia nei primi due anni di vita, invece che nel quarto o nel quinto. La Klein ha anche accentuato la crudeltà dei primi impulsi dei fanciulli verso i loro genitori e descrive le loro fantasie con «laceramenti» e «divoramenti» così da richiamare alla mente i più violenti films di Walt Disney. Il mio lavoro personale si trova su una base di sostanziale accordo con le scoperte della signora Klein, per quanto io non sia consenziente riguardo alle formulazioni teoretiche che ha fondato su questi dati.
Le ricerche della signora Klein, hanno cambiato molto la tecnica per l'analisi dell'adulto in quanto hanno reso più chiare le relazioni con i più profondi impulsi e con le fantasie di origine infantile che vivono ancora nell'inconscio dell'adulto. Essa ha pure esteso le sue ricerche nel campo dello squilibrio mentale e ha gettato molta luce sulla genesi della melanconia, paranoia, e schizofrenia. Il suo lavoro, indubbiamente, risulta pure molto importante per il problema dell'allevamento dei bambini; le dirette osservazioni di Merril Middleton e di altri hanno mostrato poi che perfino leggere differenze in materia di nutrizione, particolarmente dal seno materno, possono esercitare una insospettata influenza sullo sviluppo posteriore dell'individuo. L'inevitabile coercizione degli istinti infantili stimola risposte aggressive e buona parte del seguente sviluppo del fanciullo consiste in varie reazioni secondarie di difesa contro questi istinti temuti. La paura del fanciullo di se stesso è di capitale importanza per il suo destino futuro e può condurre soltanto a innumerevoli forme di «inferiorità» (con conseguenti varie reazioni) ma cónduce anche a quell'alternativa fra dipendenza e indipendenza, così miserevole nella nostra vita sociale e politica. La moralità in se stessa si forma probabilmente come aiuto a combattere queste paure inconscie, ma sfortunatamente, prende — nella forma del super-Io — atteggiamenti estremamente duri e crudeli così che il frequente presentarsi di «attitudini moralistiche» è ben lontano dall'essere di puro benefìcio alla civiltà, come invece comunemente si crede.
All'altro capo di questa linea di ricerche c'è l'indirizzo perseguito specialmente in certi circoli americani, fra cui è noto il nome di Karen Horney. Qui l'accento è posto sull'effetto delle varie istituzioni sociali nel modellare lo sviluppo del bambino. Si sostiene che le molteplici variazioni di queste arrivino a cambiare lo sviluppo stesso del fanciullo. Malinowski, un famoso antropologo inglese, giunge perfino ad affermare che un complesso edipico può sorgere soltanto in una società patriarcale e non in una matriarcale; ma il presente scrittore ha mostrato i profondi errori di queste conclusioni. L'estremo di questa linea di pensiero si ha con il punto di vista marxista, per cui tutti gli sviluppi umani sono essenzialmente una superstruttura dipendente dall'unico importantissimo fattore della forma economica di produzione in una data comunità. È evidente che questi fattori sociologici influenzano enormemente le forme dell'attività umana e i molteplici modi in cui la natura umana si esprime nelle diverse circostanze. Rimane comunque da mostrare come sia possibile per questi fattori culturali influire sulle più profonde fantasie del fanciullo ossia raggiungere veramente l'inconscio. Per cui, la pretesa di certe istituzioni sociali a modificare i caratteri fondamentali della natura umana è più che sospetta, ma, d'altra parte, è indubbio che queste istituzioni possono effettivamente modificare il modo con cui questi caratteri sono manifestati all'esterno.
Un lavoro considerevole è stato fatto negli Stati Uniti su quelle che oggi vengono chiamate le condizioni psicosomatiche, e i nomi di Jelliffe e di Alexander andranno sempre associati con le ricerche di avanguardia su queste condizioni. Per «stato psicosomatico» si intende una condizione del corpo, di solito con cambiamento fisico definito, che è stata modificata sia parzialmente, sia totalmente, da fantasie e conflitti emotivi. Molti medici avevano per lungo tempo supposto questa possibilità, ma essi non avevano la conoscenza della tecnica psicoanali- stica dei fattori emotivi per essere in grado di congiungere le emozioni coi cambiamenti fisici in questione, compito questo che oggi viene tentato da molti psicologi americani. La trombosi coronaria o piuttosto l'ateroina che rende questa possibile, e l'ulcera duodenale, sono fra gli stati patologici che giustamente si prestano ad esser messi in correlazioni con un'ansietà repressa. Perfino varie malattie della pelle può darsi che abbiano una origine simile.
La psicoanalisi si è occupata tardi dello studio della pazzia, almeno in un modo più estensivo che negli anni precedenti. Lasciando da parte la dibattuta questione dell'ultima eziologia — se questa sia tossica, ormonica o psicologica — è materia di interesse teoretico e pratico di accertare non soltanto i cambiamenti avvenuti nella mente, ma precisamente qual'è questo cambiamento avvenuto. Studi dettagliati sono stati fatti sulla struttura e sulla genesi dell'insanità maniaco-depressiva, paranoia e schizofrenia. Freud ha delucidato il meccanismo della paranoia alcuni anni or sono ma sappiamo che il suo tratto più caratteristico — quello della proiezione — si accompagna costantemente a tutto lo sviluppo infantile. Infatti la tendenza a proiettare sul mondo esterno attitudini ostili o aggressive, che sono represse in noi stessi, non è vinta del tutto neanche nella vita degli adulti. La relazione tra la malinconia e una pena normale si è dimostrata particolarmente interessante. Nella malinconia l'oggetto dell'ostilità è stato incorporato nella personalità di chi soffre e l'odio di ciò, espresso in un secondo momento come odio contro se stesso, può, come è noto, essere così inteso a condurre ad una distruzione della propria persona. Nella mania, che così comunemente si alterna con la malinconia, l'odio di se, invece, non è soltanto trattenuto, ma completamente vinto. Nella schizofrenia, la dissociazione che ha luogo con disturbi nervosi e mentali è molto più pronunziata che altrove, così che il compito di riunire gli elementi dissociati è a sua volta molto più difficile, per quanto non impossibile.
Le ricerche di questi ultimi venti anni sono state volte molto più su l'investigazione degli impulsi aggressivi che degli impulsi sessuali. Questo non sorprenderà, dato che Freud aveva così esaurientemente investigato questi ultimi nei primi giorni della psicoanalisi, tanto che il suo lavoro era considerato soltanto uno studio della sessualità. Un certo numero di analisti, comunque, formò la opinione che c'erano state alcune distorsioni nelle conclusioni di Freud, sorgenti dal suo considerare i problemi in modo troppo unilateralmente maschile. In particolare, si era pensato che le sue conclusioni riguardo allo sviluppo sessuale della donna erano state espresse come se la donna non fosse altro che «un uomo mancato», trascurando una primigenia attitudine femminile. È vero che la maggior parte delle bambine passa attraverso uno stadio in cui si cambierebbe volentieri in maschio ma io ho notato che questo è in gran parte dovuto a una difesa contro una femminilità già repressa, piuttosto che essere, come pensò Freud, un primario e normale stadio dello sviluppo femminile. La parziale inversione sessuale è soltanto una fra le tante difese che l'Io erige contro la paura fondamentale della sessualità; Anna Freud ha pubblicato un lavoro in cui ne classifica e studia le varie forme.
Questa pervadente paura della sessualità, di cui parte può essere passata nella coscienza, è forse l'agente più importante nel determinare lo sviluppo dell'uomo. Non è mai stato chiarito completamente perchè questo istinto deve avere una tale straordinaria importanza; il problema è evidentemente connesso con quello teologico del peccato. La psicoanalisi può oggi, grazie ai larghissimi studi fatti sull'inconscio dei bimbi, gettare una gran quantità di luce su questo argomento. Le prove accumulate mostrano che la vera ragione della paura è la sfortunata circostanza che al loro inizio gli impulsi sessuali sono intimamente connessi con quelli aggressivi, o che forse erano intimamente aggressivi nella loro natura. Le opposizioni inevitabili e costantemente ripetute stimolano questi componenti aggressivi e contribuiscono a farli sfociare, come è stato detto prima, nelle fantasie più selvagge e negli impulsi diretti contro gli oggetti più preziosi, amati e necessari. Poca meraviglia se la paura di distruggere queste cose amate è così terribile alla mente del fanciullo che egli deve ricorrere ad ogni genere di misure difensive contro questi impulsi, misure che più tardi vengono a costituire le caratteristiche della sua personalità.
Sono stati studiati ancora più profondamente i componenti non sessuali della mente primitiva, più specialmente in connessione con gli impulsi aggressivi. Abbiamo alluso brevemente a questi quando più sopra abbiamo descritto le ricerche di Melanie Klein sui fanciulli, e l'importanza di queste ricerche non può essere esagerata. Attualmente la natura stessa essenziale dell'istinto aggressivo non è ancora perfettamente conosciuta e non si sa se sorge da un istinto indipendente che viene solo più tardi a fondersi con quelli sessuali. È certamente con questo istinto che l'aggressività fa la sua tipica comparsa, ma può darsi anche l'aggressività incontrata sia un attributo inerente all'istinto sessuale e non un istinto separato. Una cosa è certa, che cioè l'istinto aggressivo è sempre intensificato da privazione o da ostacoli posti all'istinto sessuale ed è questa intensificazione che dà origine a tanti deplorati aspetti dell'umanità. Freud stesso considerò l'aggressività come un istinto originariamente indipendente, e cercò di connetterlo con un ipotetico «istinto di morte», ossia un'innata tendenza del mondo organico a ritornare al mondo inorganico. Questo suo punto di vista, comunque, non è stato molto accettato.
Si è parlato precedentemente, dell'influenza che le varie istituzioni sociali possono presentare per lo sviluppo della mente inconscia. Studi molto più importanti sono stati pubblicati negli ultimi quindici anni sul processo opposto a questo: l'influenza che l'inconscio ha sulle nostre istituzioni sociali e sui movimenti del pensiero politico. Questo genere di lavoro è parte di quella che è detta psicoanalisi applicata, ossia l'applicazione della conoscenza psicoanalitica allo studio delle varie attività umane.
Un contributo apparentemente remoto, ma di grandissimo interesse effettivo è quello contenuto nell'ultimo libro di Freud «Mose e il Monoteismo». Freud offre buone prove per affermare che Mosè non era un ebreo, ma un egiziano e che lo stretto monoteismo, così caratteristico del giudasimo, era direttamente derivato dagli insegnamenti del re egiziano Akhenata. Egli risale alle origini della psicologia ebraica, in costante relazione all'assassinio del padre, ossia in oscillazione fra l'obbedienza e l'odio verso il padre primordiale. Freud inoltre ci offre alcune interessanti opinioni corcernenti l'allarmante problema dell'anti-semitismo, così importante socialmente. Altri psicologi hanno tentato di risolvere questo difficile problema e hanno mostrato che le radici di esso sono molto più complesse di quanto generalmente si creda. Per esempio l'antisemitismo è indubbiamente da collegarsi con la fantasia del «corpo straniero», fantasia infantile in cui hanno « introiettato» i loro genitori, con conseguente reazione contro la persona «introietta- ta». Questo soggetto è così sovraccarico di pregiudizi emotivi che, si spera, una imparziale elucidazione delle sue origini, sarà col tempo di valore pratico nell'affrontare i penosi problemi implicativi.
Gli eventi mondiali degli ultimi trenta anni hanno fornito un amplissimo materiale da studiare agli economisti politici e agli psicologi sociali. Poiché i motivi umani, le emozioni e gli impulsi forniscono la forza principale che dirige i fatti, non è sorprendente che la psicoanalisi sia stata in grado di dare molti contributi per la loro comprensione, specialmente per quel che riguarda la parte giuocata dall'inconscio nell'influenzare i vari atteggiamenti coscienti. Sta diventando sempre più evidente che l'irrazionalità gioca una parte insospettata e tuttavia grandissima nella vita sociale e politica, e questo malgrado ogni tentativo di razionalizzare attitudini che sono invece irrazionali nella loro intima origine. È naturalmente riguardo alla chiarificazione di queste origini irrazionali che la psicoanalisi può dare i più importanti contributi.
Le controversie nel campo dell'economia durante il 1930 rivelarono fino a che punto profondi pregiudizi e atteggiamenti del tutto soggettivi contribuirono a determinare le varie discussioni, e molto psicologi fra cui Money-Kyrie scrissero libri dove chiarificano i motivi che spesso sono nascosti in una discussione apparentemente oggettiva.
Il campo della psicologia politica e sociale più di quello economico (per quanto nessuna linea di netta separazione possa essere tracciata tra i due) si è arricchito di un materiale che ancora attende di essere studiato. L'allarmante guerra di «ideologia», così perturbatrice, ha rivelato fino a qual punto gli interessi dell'uomo si sono allontanati dalla religione verso le cose del mondo, e questo è sicuramente da mettere in correlazione con l'impressionante decadenza religiosa negli ultimi cinquanta o cento anni. Oggi vediamo protettarsi sui vari «movimenti politici» e sulle varie «cause» quello stesso spirito di devozione, di sacrificio, di idealismo, e lo stesso spirito di «crociata» che nei tempi passati era stato una prerogativa della fede religiosa. Sfortunatamente, vi ritroviamo anche quello stesso spirito di intolleranza e di persecuzione, ugualmente caratteristico dei movimenti religiosi.
Dei diversi atteggiamenti che fanno parte di questi movimenti politici e ideologici, ne sceglierò qui soltanto due: le varie attitudini verso le idee di libertà e di uguaglianza. Riguardo ad entrambe c'è, parlando in generale, un fortissimo contrasto tra le idee che si avevano nel diciannovesimo secolo e quelle del ventesimo. Nel XIX secolo un grandissimo valore veniva attribuito all'idea della libertà e questa trovò molte forme di espressione, poetiche, politiche, economiche, etc. I passaporti furono aboliti, l'immigrazione fu permessa liberamente, divenne più libero lo scambio delle merci, del lavoro, della popolazione e la patria diventò l'ideale più sacro. Era l'età del nazionalismo liberale che trovò il suo canto del cigno nella legge di Wilson della «libera scelta». Si pensava poco all'eguaglianza sociale; al contrario, l'inalzarsi nella scala sociale e il migliorare la propria condizione sembrava una lodevole ambizione. Nel nostro secolo invece, siamo stati testimoni dell'estremo capovolgimento di questi atteggiamenti e questo fatto dà origine a interessanti problemi di psicologia.
La psicoanalisi trova la chiave a molti di questi problemi asserendo che questi atteggiamenti indicati sono il risultato del variare della forza reciproca dell'Io e del Super-Io, nei diversi periodi della storia del mondo. Il Super-io, come si ricorderà, si è sviluppato in ambedue i sessi, in stretta relazione con l'idea del genitore, forse particolarmente del padre. Questa relazione si conserva per tutta la vita ma si può rapidamente mutare o identificare in altri sostituti del mondo esterno come per esempio un dirigente, un governo o un qualsiasi superiore. Quando le richieste del Super-io sono limitate, o quando l'Io si sente più capace di lottare contro la sua influenza, l'individuo si sente più fiducioso nelle sue capacità di tutelarsi senza cercare aiuto dall'esterno ed è capace di ribellarsi contro le restrizioni che gli sembrano non necessarie. In altre parole, egli è capace di rivolgersi contro il Super-io e di criticare le sue richieste che sono sempre eccessive. Sempre per il meccanismo della proiezione, questo fatto conduce ad intolleranza di restrizioni imposte dall'esterno da un'autorità. Così, le nazioni assoggettate si liberano di ciò che è sentito come un giogo dell'oppressore; e le stesse attività del loro proprio governo sono spesso sentite come imposizioni. Poco o nessun senso di colpa viene provato per aver avuto maggior successo nella vita del proprio compagno, anche se talvolta il libero giuoco della propria attività viene frenato da un aiuto compassionevole offerto al compagno meno fortunato. Quando al contrario le richieste del super-Io sono presenti in modo duro e insistente, o quando l'Io al confronto è debole e incapace di affrontarle, il risultato sociale è completamente diverso. L'Io può allora trovare pace e sicurezza solo sottomettendosi. Allora ci verrà detto che noi abbiamo la necessità di un governo forte che ci possa salvare e proteggere dai pericoli previsti. Il culmine di questo atteggiamento sarà raggiunto nella richiesta di un dittatore onnipotente, al quale sia affidata tutta la responsabilità delle vite individuali e delle decisioni personali, e che dovrà dare istruzioni su ogni particolare della condotta, sulle opinioni e sulle attività giornaliere.
È logico che questi atteggiamenti non sono ugualmente sviluppati, nello stesso momento in tutti i paesi, ma possono essere molto diversi fra un continente e l'altro. Noi abbiamo visto recentemente, per esempio la rivolta dell'India per l'indipendenza e per un proprio governo e la strabiliante docilità mostrata dalla Germania.
Questo è uno schema estremamente condensato di ciò che in realtà è un insieme molto più complesso, in cui le molte diverse tendenze reagiscono con forze varie, così da produrre una trama confusa. Ma per quanto generale, lo schema appare valido e così giungiamo alla conclusione che la generazione presente è sofferente per un carico di colpa, o, per meglio dire, per un senso inconscio di colpa, molto maggiore di quello che ebbe la precedente generazione. Non è sorprendente che gli sforzi per liberarsi da questo intollerabile peso siano tali da assumere forme di disperazione sempre irrazionali.
Questa specie di contrasto di idee (derivato da una relazione con l'inconscio) si può presentare in forme molto diverse. Ad una persona, per esempio, quello che il suo oppositore vede come libertà appare come anarchia, mentre ciò che egli considera come uno stato di ordine desiderabile appare ad un altro come una tirannide intollerabile. Quello che è certo è che nessuna attitudine estremista è mai «pura». Perfino quando si presenta sotto forma di nobile idealismo, e contiene magari motivi genuini di ciò, in realtà è soltanto una mascheratura di motivi molto meno lodevoli, come avara cupidigia o potere tirannico sopra i propri simili.